Tra le diverse accezioni di quarta dimensione, torna alla mente quella che Umberto Eco coniò, ispirandosi anche a personaggi, riviste e attività editoriali del Molise di un sessantennio fa. Allora la nostra terra brulicava ancora di ragazzi che animavano i centri abitati, a cominciare dal capoluogo dove confluivano anche quelli del circondario e non solo. La mattina, prima di recludersi a scuola, gravitavano attorno a quei periscopi privilegiati, che erano le edicole. Non ancora in auge le locandine, gli edicolanti strizzavano gli occhi ai passanti, ripiegando ad arte le pagine dei quotidiani dedicate alla nostra regione (ma non solo quelle), per mostrare i titoli salienti, spesso sottolineati con la classica matita rosso e blu. Al succedersi dei quotidiani, si accompagnava la staticità di una testata curiosa, il cui titolo a caratteri verdi pure caratterizzava con discrezione le edicole cittadine. «Il pungolo verde», rivista mensile in teoria, ma in pratica dalla periodicità meno scandita, era stampata a Campobasso, animata da redattori campobassani, o comunque molisani. Presentava le opere e i successi di artisti, non solo locali, apprezzati ovunque, in Italia e all’estero (non per nulla si fregiava del sottotitolo inglese, The Green Goad). E davvero i volti di quei poeti e poetesse, scrittori, pittori, raggianti nel ritirare un premio o un riconoscimento, sembravano provenire da un mondo dorato, anche quando lo scatto li immortalava nella posa compassata del ritratto formato tessera.

Noi ragazzi di allora non potevamo saperlo, ma Umberto Eco proprio in quegli anni mostrò di che lacrime e sangue grondasse quel mondo (si fa per dire), da lui battezzato appunto quarta dimensione. Lo fece in una memorabile inchiesta pubblicata sull’ «Espresso». A suo dire, L’industria del genio italico aveva preso le mosse dalla “sorpresa che, non disgiunta dal sottile piacere, si rinnova ogni qual volta si scorrano le pagine di preziose riviste quali «Il pungolo verde» di Campobasso” e altre, calabresi, campane, siciliane, romane, modellate tutte sul “famosissimo «Giornale letterario» di Gastaldi editore in Milano”. Riviste e recensioni di volumi firmati da poetesse dal doppio cognome, come le professoresse di un tempo, e di autori dai cognomi ottocenteschi, De Gubernatis, De Filippis, ritratti da Eco in un campionario composito e rutilante. Provengono anch’essi dal mondo della prima dimensione, quello dei manoscritti che inondano le redazioni delle case editrici. Solo uno su mille ce la fa. Pubblicato da Einaudi o Rizzoli o Mondadori, entra nel mondo della seconda dimensione, alla quale per altro è lecito accedere anche tramite case editrici più piccole ma comunque prestigiose. Poi c’è la terza dimensione, ancora più rarefatta, quella dei successi con più ristampe e traduzioni all’estero. Ma ad Eco interessa il destino dei novencentonovantanove manoscritti cestinati. La gran parte dei loro autori si rassegna ed esce dal giro, ma almeno novantanove di loro entrano nella quarta dimensione (QD), che ha i propri editori, come il già citato Gastaldi a Milano o Gugnali a Modica o Il Pungolo Verde a Campobasso. Ha le proprie riviste, con la scelta di recensioni QD, genere letterario a sé, destinato ad accogliere rarissime stroncature, essendo praticato dagli stessi autori QD a beneficio di opere di colleghi pubblicate dall’editore della stessa rivista o di riviste parallele. Ha la propria via del successo e della riconoscibilità, ben più ampia e affollata rispetto a quelle della seconda e terza dimensione. Perché la redazione unicellulare di un editore QD, a volte allargata alla moglie, non sbarra a nessuno le porte della gloria letteraria. Apprezza e avalla a priori tutti i manoscritti ricevuti, compresi quelli rifiutati in precedenza dagli editori di seconda dimensione. E li pubblica, previa corresponsione da parte degli autori di un congruo contributo finanziario che copre abbondantemente le spese tipografiche per tirature di mille copie, di norma ben stampate e salutate dal coro delle riviste QD come capolavori e pietre miliari nel campo della poesia, che naturalmente la fa da padrona, ma anche della letteratura con tentativi di migliorare la resa stilistica de I promessi sposi, della filosofia o della saggistica storica, religiosa, politica. Poco male, poi, se i tempi grami ostacoleranno la diffusione e la vendita di quelle opere. Pur di evitare il macero al lavoro e al sogno di una vita, gli autori si sacrificheranno a rilevare a prezzo di favore le copie invendute, a tenore di una clausola sfuggita nell’euforia della firma del contratto, liberando i magazzini e assicurando una base economica e finanziaria di tutto rispetto alla editoria QD. Intanto si godono il bacio dal successo, certificato a volte anche da una recensione apparsa su un quotidiano locale, benché molto più scarna di quelle delle riviste, si capisce, e soprattutto dalla presenza del loro nome in uno dei Dizionari dei poeti e scrittori contemporanei, con voci che annichiliscono quelle succinte dei Manzoni, dei Gadda dei Pavese, che pure compaiono. Eco si diverte ad accostare quelle a queste, ma non cita autori molisani. Se non fosse per lo spazio tiranno, si potrebbe rimediare attingendo al dizionario edito dal Pungolo verde nel 1980, il più vicino a noi. È gioco forza limitarsi a citare due casi che colpirono la fantasia del professore una sessantina di anni fa. “Di tipo diverso (e di più assennata normalità, non priva di una passione pedagogica che procede fior da fiore) sono le opere di Teodosio Capalozza (Teo da Sepino) che pubblica presso le edizioni di Teodosio Capalozza nella collana La Diana, fondata e diretta da Teodosio Capalozza”. Con la precisazione quanto mai opportuna: “La Diana è una «collana di quaderni eclettici di universalismo»”. E nell’ambito delle opere di divulgazione scientifica, spesso spostata su truculenti rappresentazione del sesso, la “diversa impostazione [del]la Guida per l’amore del sesso, di Antonio Germano (Edizioni Guida d’Amore – Campobasso), che procede su basi più lirico mistiche”.

Insomma, grazie ai Capalozza e ai Germano, il Molise allora si faceva valere, almeno nel mondo QD. Grazie soprattutto a «Il pungolo verde. Periodico d’avanguardia, di pensiero e di critica della Unione scrittori e artisti», fondato nel 1947 e resistito in vita almeno per un quarantennio, che si sappia fino alla metà degli anni Ottanta, insieme alla omonima casa editrice.

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