- Quarta Dimensione - https://www.quartadimensione.eu -

Dove si viaggia senza lucciole e certezze, misteriosamente, senza bussole, né stelle (di Giuseppe Pittà)


ti rubo l’anima
disse il ladro di anime
mentre tu distratto guardavi la tv
la sua educazione
per l’imminente significativo furto
prevedeva almeno di avvisarti
è questa prassi di civiltà
invece io ti uccido
disse l’assassino
ché ho un impulso assai immediato
ti uccido senza educazione
incivile
mentre te lo dico
in elegante completo da assassino

I venti sanno essere diversi. E’ possibile classificarli in varie tipologie. Qualcuno li sa chiamare uno ad uno. A me non serve definirli nei nomi, a me basta conoscerli a secondo della loro qualità nella velocità e nella concretezza della forma. Lento, forte, debole, calmo, immobile, pungente, glaciale, caldo, infuocato, pericoloso. Ora però siamo in mare aperto e il vento è decisamente fragile, quasi piacevole, direi perfino amabile. È un istante di pace, un dono dopo l’uragano di un giorno fa. È quel che accade ai mai e ai cieli, le statistiche parlano di alternanze importanti tra il movimento più potente e l’alito debole come il respiro di un uomo che sta morendo. Un gesto della natura, che oscilla tra impeto e sconquasso e quiete e silenzio. A Flint, che poi sarei io, nelle speranze di essere sincero con tutti voi, piace molto questo genere di vento. Lo accoglie con buona propensione all’amicizia,, consapevole dei suoi benefici, mentre, godendo di una certa tranquillità, scorre per la decima volta nella fatale vasca di Centro Corso. Ne va, ne vado orgoglioso, per esser riuscito a cogliere la giusta notte, mentre, nascostamente, muove e muovo i passi leggeri tra i capannelli di giovani in vena di scherzi e schiamazzi. Stanotte Flint rifugge, rifuggo il buon ambrato rum, non è notte da rum, questa, è solo e soltanto da birra, fresca e chiara e scura, colma di schiuma e con un pizzico di sale, birra, assolutamente birra, non è notte da rum. La visione così si completa in un mare di liquido più o meno ambrato, nei grossi bicchieri di plastica trasparente, sui cui orli bisogna, attivamente, posare le labbra arse in cerca del più giusto e salutare refrigerio. Birra terapeutica, salvatrice delle notti insonni, amica fedele di pisciata condivisa. Ti adora e ti desidera. Ti adoro e ti desidero. Senza vento, senza pensieri cattivi, solo respiro, lento, calmo, stentato come quello di un uomo che sta morendo o che riprova a vivere, forse.

In questo vento che ti veste, corriamo via da ogni pensiero di normalità. Gli assalti si inseguono, si costruiscono e si distruggono, come a voler finire in un immenso frullatore, dove entri a pezzi di uomo e ne esci come il fiume di un pensiero, dove tutto è liquido e denso, dove tutto sembra invenzione di medicina, che è come essenza di sublime. La gioia è rinchiusa nella scatola preziosa, luci di pietre finte o forse vere, preziosi monili di scena o gioie guadagnate con il bottino, da difendere da ogni altra avidità umana. Siamo nella piegatura dell’ordine stabilito, in una filosofia che ti fa bene, quella che hai scelto come tua, esclusiva e banale, ma tua, senza padroni né sottoposti, unica e rara, perché individuale e personale. Una connessione forte e netta con la religiosità che hai imposto a te stesso. La presenza del tuo altro altare, dove costruisci il rito della scomparsa del Male, ché il Male si combatte in un unico grande modo, mettendolo a confronto con un altro Male. Un duello, che è consuetudine piratesca, un uncino contro un piede d porco, una sciabola contro una lancia ben appuntita, un colpo di rivolta contro una palla spaventosa di archibugio. Siamo tutti, ormai vinti e vincitori, in quel bosco di Mostri senza volto, dove si vanno a rafforzare i soliti pensieri del riscatto e della vendetta, dove si annebbiano e si ritrovano, come nelle bande più cattive e pericolose, come nei fuochi dello sterminio, come nei giochi della crudeltà che la Memoria non smette mai di cercarli e ricercarli. E adesso siamo qui, con le storie del nostro tempo, le teste rasate e gli anelli al naso, pirati moderni e senza oscurità, se non l’appartenenza alla razza dei maghi, delle assolute stregonerie, circondati da cocktail imbevibili dai colori impossibili, automobili rombanti ed incidenti mortali. Ora, adesso, qui, dove respiriamo fantasie, interpretando le parti sempre da protagonista, cancellando di fatto ogni schiavitù, quella schiavitù che tornerà all’alba del giorno, accarezzando amicizie nuove e distruggendone di antiche. In un sistema che annienta ogni possibilità di riscatto, perché i sogni non sono più di moda, ma solo e soltanto la subdola tenerezza di chi è attaccato alle note dell’antichità più antica che ci sia. Corriamo, insieme e minacciosi, contro le palizzate di un fortino, senza neanche un inno da farci forza, perché il nostro rock è morto, forse mille anni fa, nelle isole del dominio dei nostri Re, nelle arene del combattimento, nelle piazze affollate, negli occhi degli incontri, nei respiri che trasmettono la peste, nelle caverne più moderne, nei fuochi dei potenti, nelle pulsioni del sangue, nelle nostre migliori storie d’amore e follia.

Sotto il soffio, tra effetti e difetti, di venti assai discontinui, vivono Mostri che non arretrano di fronte a niente. Come del resto, in un miscuglio molto generoso, con noi esistono Eroi, che fanno la stessa cosa. E’ come fossero una stessa persona, che a secondo della posizione assunta, prende le sembianze di mostro o eroe. Il gioco è di una semplicità davvero disarmante, basta afferrare il senso e scopri facile facile l’arcano. La visione è davvero interessante, l’osservatore può spingere la sua fame di verità, associando ai gesti le spinte con le quali si vanno a realizzare le scelte. Batman ne è esempio concreto. Quando muove i suoi interessi, indirizzandosi alla sconfitta del Male, di fatto, opera in sintonia con la propria coscienza, che sempre si attrezza a combattere quell’antico torto, arrecato dal sicario che gli secca i genitori, ricchi strafottutamente ricchi, che si fanno ammazzare da una istanza di per sé balorda, ma eccelsa nell’opera di una banda di malfattori del vertice del comando, al fine di garantire la continuità, sempre malavitosa, del grande Male nella Direzione Aziendale dell’immenso Regno economico dei Wayne, la casata del nostro BatBruce, Eroe/Mostro pipistrellato.. Ma anche quella strada, più sottile e però più complessa, che la vicenda, inizialmente crudele, costruisce, che di fatto contribuisce a definire il protagonismo del personaggio, che è eccessivo assai, con quel costume molto sui generis e i simboli e tutte quelle evoluzioni, che degnamente si posizionano tra lo sport, il balletto ed almeno di almeno otto film di grande successo al botteghino. Amen

E lui è adesso quel Bruce, vecchio porco di malefatte, che stende tende spesse di gran velluto, a volte nero, altre rosso, disordinatamente su un letto gigantesco, come fosse l’intero mondo di Gotham, città oscura e demoniaca, che trova sviluppo, come in un disegno senza sosta, tra uccellacci volanti e cattiverie, passando di buio in buio, fino a qualche scintilla da festa e fiera e champagne. Le polveri sono sempre amplificate, nel gusto accattivante magari di un don Carmelo (Bene), che coinvolge di Re in Re e di gran belle donne, seminude come da copione e di damaschi alle pareti. Flint ama i giochi di luce, specialmente quelli che tendono a mostrare le falci, improvvise movimentazioni di scena, campi repentini di attenzione, come fossero scintille da maghi, stregonerie da vecchie streghe contorte, negli angoli bui da squarciare, con gran bella perizia, con un occhio di bue molto potente. Ed è qui, che entra in scena l’Amore, quello grande e grosso e micidiale. Amore in tutti i modi possibili, basta che sia esagerato, infinito, supremo, enorme come l’Everest e il K2. Amore montagnoso, infinito, immenso, da catena montuosa, da contatto diretto con il cielo, da fervore, idealismo, culto divino, fede e voracità. Flint, dunque, ama? È questo il responso del furore del corpo, quando l’anima si fonde con la carne e tutto diventa fiume, fortissimo, prepotente, arrogante fiume da dominare ogni sviluppo di pensiero, perché tutto ti porta lì, all’Amore e alle folgori di questa smisurata verità. Ma è sempre notte a Gotham e nessuno di noi può permettersi una lunga sosta, senza rischiare di essere almeno morto. Bruce non è più Bruce, vive di schianti e di memoria, covando vendette esclusive, tutte spettacolari, infinitamente meravigliose, ma tutte dal volto, mascherato e no, della più consistente sofferenza. E questo non piace, stanotte, al nostro pirata preferito, perché nel corso del suo concerto di emozioni, si rende conto che amare, in fondo in fondo, non è assolutamente così sbagliato.

Intanto un altro vento si va presentando nell’aria di questa notte. Dicono porti una specie di codice colorato. Arancio, sottolineano i nunzi radiofonici. Ma le strade, quelle nostre e del nostro capo indiscusso e padrone di esistenze, ci portano dentro i contorni di un altro mondo, dove, correndo di fretta e concretamente sempre di urgenza, giungiamo puntuali nei pressi del Cimitero degli Elefanti, dove quegli esseri dalla più spessa pelle, costruiscono i riti dell’addio senza arrivederci. C’è sofferenza, nessun dubbio su questo, sofferenza vera e propria ed anche tristezza, autentica tristezza da saluto finale. In un funerale di Elefanti si taglia sempre l’aria con le proboscidi, si usano i nasi pensili e scostumati con grande valore simbolico, perché niente è lasciato al caso, ogni mossa è studiata e codificata in una sorta di grande regolamento interno. In un funerale di Elefanti si asciugano lacrime da oltre mezzo litro l’una. E si barrisce molto, in un minuto almeno dai 5 ai 6 barriti, il che ne fa una performance musicale che ti strizza il cuore e ti rende le orecchie assai ferite. In un funerale di Elefanti, gli Elefanti vestono il corpo del loro fratello con rami e foglie, in un gesto di copertura che è un po’ come voler nascondere al mondo il senso più mortificante della morte, quello che, nei pressi della fine, va a concludere il molto per diventare rifiuto, tutto in organico, tranne le zanne che sono destinate al secco residuo e ai saccheggiatori di avorio. Il lato triste di una teoria di fede che qui, con il gesto di defungere, diventa probabilmente perfino blasfemo, commercio se pur illegale, se non di cattivo gusto. Infine il letto è pronto, il nostro Dumbo quasi sorride nella sua nuova eterna dimora, un sorriso per il vissuto, consapevole, semmai fosse possibile, della sua gloria, di un vissuto che resterà, merito Disney, nelle gioie di un esercito agguerrito di bambini e do adulti. Attraverserà, invero, di nuovo il mondo, mediante i pensieri dei piccoli e dei loro genitori, differentemente dall’accoglimento nel segno del più semplice divertimento, ma concreti nel pensiero scientifico, nelle vicinanze psicologiche e perfino giusti nella formazione del sentimento, rinnovati ogni volta dalle repliche televisive, quelle che scorrono da sempre nelle vicinanze natalizie e in qualche pausa di festa riconosciuta. Certo è che non volerà più, fermerà il getto del suo vissuto, accantonerà il ciclo del suo splendido gioco del solcare l’aria con la felicità di un fringuello e la sua silhouette, che si trasforma in volo e diventa eterea, magica, speciale. Non volerà, l’eroe di mille imprese si ferma, non più musiche nel circo della vita. Stop. Pace. Resterà immobile nel suo abito di rami e di foglie, totale, immenso, come un dormiente in un museo naturalistico, solo pelle e risultato, donandosi alla perfezione dell’Universo, dove tutto sta lì a dimostrare la grandezza di un eventuale Creatore di Fantasie, il perfetto Padrone di un conto alla rovescia, dove può capitare che il tuo sogno si avveri alla rovescia ma anche che si costruisca così come lo hai sognato e, chissà, forse volerai pure tu, restando in volo per l’eternità, come un Dumbo qualsiasi, Eroe dei nostri tempi, meraviglia tra le meraviglie, protagonista indiscusso delle migliori fantasie, come quella di spiccare il volo e riuscire a volare, volando, rivolando, trasvolando, stravolando, magari nel nostro Blu più dipinto di Blu. Olè.

Di vento in vento, scopre le sue vele, il nostro coraggioso Capitano. Cattura i soffi con perizia assoluta, splendido anche come Pilota, sicuro Timoniere, muovendo la ruota dello strumento con assoluta tranquillità, senza un qualunque cenno di timore, evitando le onde più cariche di cattiveria. Sa il fatto suo, il nostro Flint, si vede subito che proviene da una buona scuola. E intanto canta, sfidando l’aria ghiacciata della notte e i fulmini che squarciano il cielo nero più del catrame che protegge la chiglia della Ladra d’Acqua, che è si piccola, ma profondamente adeguata e ben attrezzata per affrontare ogni traversata. Flint è degno di portare questo nome, ché è l’unico in grado di ripercorrere le gesta di colui che considera suo antico e glorioso antenato. Intanto, lo ritroviamo occupato nell’urlo alla notte, quel suo canto da incutere paura, nei modi e nei gesti, in un canto che racchiude il suo disprezzo per il mondo malefico che tutti, chi più chi meno, stiamo ahinoi percorrendo. Morbide carezze di fiele, le parole che segnano il vento, raccontando dei dolori più forti da sopportare, dei proiettili conficcati nelle carni, delle ferite dell’animo, dei solchi sulla pelle, oggi dura come cuoio, che neanche il ferro più tagliente riuscirebbe a scalfire. E canta, di quel cantare che è rappresentazione del suo universo, di quell’epopea che racchiude tutta la storia di un vincente che vince nei sogni, di uno sconfitto che si dispera nella vergogna di questi giorni di guerra e di tuono.


il morto
non riesce ancora
a morire
nonostante
il suo corpo
fosse stato colpito
concretamente
a morte
almeno quattro ore fa
la questione
mi rende
alquanto e molto
nervoso
sto mettendo in forse
l’efficacia di questa
azione
che nel pensiero mio
molto normale
doveva essere un delitto
facile facile
perfettamente
perfetto

 

 

(continua ancora, forse)