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Medici – scrittori, un caso unico nella storia della letteratura (di Giuseppe Zio)

La medicina, o l’arte di curare, e la letteratura hanno avuto da sempre un percorso parallelo e ravvicinato che merita qualche riflessione. All’inizio ci fu L’evangelista Luca: San Paolo lo chiama, nella lettera ai Colossei, “Il Caro Medico”. Il suo Vangelo, intriso di cultura Ellenistica, è anche il più letterario e più completo. In mezzo c’è il lungo periodo dell’alto e basso Medioevo, dove la Medicina è di per sé un fatto quasi letterario, intriso di Filosofia, Astronomia, Cabala e tant’altro. Si parla dei quattro elementi (Fuoco, Terra, Aria e Acqua) e si parla di umori che provocano la malattia, perché non sono in equilibrio tra loro nell’organismo, ma anche nell’ambiente. Ma tra il 1500 e il 1600 la medicina incomincia ad essere scienza e osservazione. E in quel periodo si affaccia nella storia della Letteratura, un medico e religioso, ma anche un grande scrittore come il grande Francois Rabelais, autore del celeberrimo “Gaurgantua e Pantagruel”. Egli, che esercita in grandi monasteri benedettini, avendo studiato nella famosa facoltà di Montepelier, proprio per questo libro, viene condannato e cacciato dal suo ordine. L’essere scrittore, di una scrittura irriverente e vera, in quel periodo era molto pericoloso. E, facendo un altro grande salto di secoli, nell’Ottocento, in particolare in Russia, si affacciano grandi medici scrittori e Anton Checov è uno di questi. Egli afferma la famosa frase “La medicina è mia moglie ma la mia amante è la letteratura! Quando mi stanco dell’una ricorro alla seconda!”. Ma anche se corre dalla sua amante, forse per un senso di colpa, continua a scrivere e a mettere al centro dei suoi libri grandi figure di medici. Sia nelle opere “la Steppa”, “Il Duello” o nei testi teatrali come “Il Gabbiano” o “Il Giardino dei ciliegi”. Altro grande medico e scrittore russo è Bulgakow. Egli fa della letteratura quasi un diario della sua attività di medico. “Cuore di cane” ha come protagonista un luminare della medicina. Lo stesso succede nella sa opera “Uova Fatali” e nel suo più celebre “Maestro e Margherita”. Ma nell’Ottocento questo fenomeno, dei medici scrittori, è anche marcato in Inghilterra. C’è Joseph Cronin con la sua “La Cittadella” e “Le stelle stanno a guardare”, che hanno come medici protagonisti e sui quali sono stati realizzati anche dei grandi sceneggiati televisivi che hanno arricchito la nostra infanzia. Poi c’è Arthur Conan Doyle, l’inventore di Scherlock Holmes. Egli fu medico e si laureò in una delle più importanti università del mondo, in quel momento: Edimburgo. Qui è nata l’anestesia moderna e conseguente mente la chirurgia. E sembra che sia stato ispirato dal suo grande maestro, sopratutto di Chirurgia, Josephj Bell, che di fatto ha inventato la chirurgia moderna e, come medico legale sembra abbia avuto un ruolo importante nelle indagini e la cattura di “Jack lo squartatore”. Ricordo il bellissimo libro “storia del macello” che ne racconta le vicissitudini e, soprattutto le resistenze della medicina ufficiale. Bell aveva un grande senso dell’osservazione. Del resto anche l’amico e collaboratore di Scherlock, il famoso John Amisch Watson, nei libri è un medico. E per finire in quel periodo abbiamo anche c’è anche lo scrittore medico scozzese Axel Muthe. Arrivando nel Novecento troviamo grandi scrittori come Luis Ferdinand Celine. Fu un medico viaggiatore e scrisse “Viaggio al termine della notte”, che ha come protagonista il suo alter ego Ferdinand Bentana che è appunto un medico. Ma abbiamo anche molti scrittori medici italiano come Carlo Levi, con il suo famoso “Cristo si è fermato ad Eboli”, libro importantissimo perché fece prendere la decisione di chiudere, per le condizioni igieniche e sanitarie del periodo, proprio i Sassi di Matera. Oppure come Giulio Bedeschi, che scrisse un libro sulla prima guerra dal titolo “Centomila gavette di ghiaccio”. Poi c’è Mario Tobino che, attraverso i suoi libri, narra le vicende vissute da primario di reparto di psichiatria. Ma è anche medico e scrittore Dino Buzzati e si scopre e lo fa trapelare sopratutto nella sua opera “Sessanta Racconti”. Lo sono anche il catanese Giuseppe Bonaviri e lo scrittore Carlo Dossi. Per arrivare ai gironi nostri ad un grande scrittore, Andrea Vitali, che è anche medico di base, con i suoi romanzi ricchi di ironia e di personaggi particolari che animano Bellano e il lago di Como. Con questa carrellata veloce si è visto che la figura del medico-scrittore, è stata sempre diffusa e presente in Letteratura, per diventa lecito affermare che forse il connubio tra medicina e letteratura risponde ad una stessa vocazione, che affonda le sue radici nell’uomo, nella sua vita e nelle sue sofferenze! Bernardo Bertolucci, nella sua ultima opera cinematografica, “The Dreamers”, fa dire al protagonista “il poeta, come il medico, deve essere reperibile a tutte le ore del giorno e della notte”. Questo perché la ricerca della Parola, quella sempieterna della letteratura, salva dalla morte ed è un desiderio o un intento di eternità! Ma ritorniamo al nostro Molise! A cavallo tra l’800 e il ‘900, prima dei Cirese, della Gasdia e di altri, i più grandi poeti molisani in vernacolo e dialetto sono tre medici: Giuseppe Altobello, di Campobasso, medico e grande naturalista autore dei “Sonetti Molisani”; Raffaele Capriglione, di Santa Croce di Magliano, autore della raccolta di “Poesie di Don Raffaele” e “La settimana Santa”; e in ultimo ma non ultimo, Domenico Sassi, di San Martino in Pensilis, autore della “Storia de Sand Lè”, un monumento straordinario alla Carrese e di altri scritti poetici di cui io stesso ho curato la raccolta qualche anno fa. E solo negli ultimi anni vi è un ulteriore gruppo di medici scrittori che stanno dando parole a vicende e fatti molisani e fra questi annovero Antonio Campa, Sabatino, Ferdinando Carmosino e, con molta umiltà, anche il sottoscritto.   Ma la stessa malattia è stato sempre un tema letterario presente nel corso della storia della scrittura. Abbiamo tutti presente la peste dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. Così come prima abbiamo presente come la peste faccia da cornice ai racconti del Decamerone di Boccaccio. La malattia spesso è metafora ed ha aspetti intuitivi che la avvicinano all’arte. Già nell’Iliade il corpo è protagonista. Ci sono molti riferimenti anatomici. Quasi tutti gli organi sono citati. Questo perché è una saga di eroi e gli eroi sono il loro corpo, con la loro possanza ma anche con le loro debolezze. Jacopone da Todi, a cavallo fra il dodicesimo e tredicesimo secolo, nelle “Lodi” canta l’universo patologico medioevale. La stessa ballata famosissima “Giro Giro Tondo, casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra!” nasce da una ballata medioevale che si cantava a Londra “Ring a Ring Rose”, che è una ballata per esorcizzare e prendere in giro la peste e la morte . Lo stesso aspetto dell’arte e della letteratura come elemento curativo del corpo non è un fatto recente. Già Ippocrate, fondatore della Medicina occidentale, fa costruire ad Epidauro, il suo importante centro medico dell’Attica, che io ho avuto la fortuna di visitare, e, al suo interno, fa erigere un Teatro immenso e dall’acustica straordinaria, per permettere di curare lo spirito dei malati con le rappresentazioni teatrali e la poesia. In tal modo si aiuta anche il corpo a guarire! Siamo 400 anni prima di Cristo e su quel teatro Ippocrate fa scrivere questo: “Non ci sono che due atteggiamenti verso la malattia: o la si domina o si è dominati!” E questo ci fa capire quanto era già da allora considerata importante la componente psichica. Un capitolo a parte merita Thomas Mann, questo grande scrittore che nelle sue grandi opere “I Buddembrock”, in “Morte a Venezia” e ne “La Montagna incantata”, fa un connubio stretto la Bellezza e i pensieri alti, con la malattia e il senso di caducità. Solo se si è ammalati, o morenti, si può capire l’assoluta bellezza del mondo e delle cose! La salute non da segno di sé e ciò che ci fa riflettere, e soffermare su noi stessi, è il dolore e la sofferenza. Ho già citato Dino Buzzati, nei suoi “Sessanta Racconti” e il grande Italo Calvino che nel suo “Visconte Dimezzato” fa una descrizione esilarante dei medici e della malattia. A conclusione di questo escursus, che avrebbe bisogno di molto più spazio per essere spiegato a dovere, si può dire che sia i mali personali che collettivi non vengono solo a nuocere ma, essendo fasi importanti della vita personale e/o collettiva, spesso impongono delle pause di riflessione che aiutano l’uomo e la società a migliorare sé stessi. Io spero che questo periodo in cui siamo costretti a isolamento forzato possa servire ancora una volta a riflettere sull’uomo e sul modo di intendere i rapporti nella società e con la natura! Traiamo il meglio anche dal peggio!