- Quarta Dimensione - https://www.quartadimensione.eu -

Canzoni dalla cucina. Joan Baez, il virus e l’esorcismo del fingerpicking (di Pasquale Di Bello)

A quell’età te, di solito, le persone se ne stanno a fare le parole crociate in una casa di riposo. Joan Baez, invece, a 79 anni, è nella cucina di casa sua con la chitarra in mano. Canta canzoni in favore di questo mondo ammalato. È un esorcismo che pizzica le corde il suo, il fingerpickingscagliato contro Satana, è così che prova a scacciare per tre minuti, il tempo di una canzone, questo demonio che dilaga sulla Terra. Se chiudi gli occhi, la voce è sempre la stessa, cristallina, come provenisse da un Olimpo celeste. Le dita scorrono sulle corde, intrecciano accordi, saltellano dai toni bassi agli acuti cucendo insieme una trama di note che salgono nell’aria come fossero polvere d’oro. Se chiudi gli occhi, la vedi ancora con un fazzolettone in testa mentre canta con Dylan e, se li chiudi più forte, la vedi bellissima in una camera d’albergo con un asciugamano in testa in Renaldo & Clara, la vedi in quel film mentre cammina con una sciarpa e un berretto di lana bianca, abbracciata a Dylan mentre cammina dentro la neve, oppure mentre è lei stessa che diventa la controfigura di Bob Dylannella Rolling Thundere Revue, truccata alla perfezione e con lo stesso cappello con i fiori in testa, talmente perfetta che non riesci a distinguere l’uno dall’altra. Ma poi gli occhi li apri e davanti a te c’è una signora bellissima, ottant’anni portati come si porta un nastro tra i capelli, come si porta un fazzoletto profumato in tasca, con grazia e eleganza. Dietro c’è la cucina, il forno e un camino coll’immagine di un corpo nudo di donna attaccato al muro. È la vita normale di una persona speciale. È forse questa la visione di Johanna che aveva cantato Dylan, una visione che torna con la forza dirompente che hanno i sogni quando vengono sognati di nuovo? È che i vecchi passi sono ovunque, ancient footprints are everywhere. Joan cammina sui passi del tempo perduto e ritrovato, le sue sono orme delicate, come passi controluce su un pavimento coperto dal gesso bianco del tempo. È una memoria involontaria quella che ci provoca, mescolando Proust a John Prine, ultimo a ricevere la sua dedica in questi giorni terribili. John Prinelotta dentro a un letto d’ospedale contro il maligno travestito da virus con una corona in testa, e lei gli canta una canzone: Hello in There. E dentro casa c’è davvero qualcuno da salutare, dentro casa c’è lei. Ha negli occhi una pioggia sottile, la commozione per i vivi e per i morti, ha nelle corde un tintinnio gentile, come la dolcezza di certi orecchini spaiati quando, indossanti di nuovo, suonano ancora. Altre due sono le canzoni che ci ha già cantato, oltre a quella per John Prine: Imagine, di John Lennon, e, dedicata all’Italia, Un Mondo d’Amore. Canta di nuovo una canzone di Gianni Morandi, come quando molto, tanto tempo fa, cantò C’era un Ragazzo che Come Me Amava i Beatles e i Rolling Stones. Erano i tempi del Vietnam, c’era la guerra allora come c’è la guerra ancora, una guerra con un nemico visibile solo al microscopio. Adesso, ora, in questo esatto momento, mentre c’è un demonio che gira nell’aria, nel vento ci sono anche le canzoni. Portano forza e speranza e ci servono ancora.