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Per battere la crisi pandemica, solidarietà e responsabilità. L’ignoto e l’inaspettato nella storia secondo Edgar Morin (di Gaetano Caterina)

Dopo quasi due mesi di isolamento da pandemia, la ricerca circa possibili vie d’uscita sembra complicarsi ulteriormente. Lo attestano le molteplici ricette sanitarie elaborate da i vari specialisti di epidemie.

Non passa giorno infatti che non ci siano diversi scenari sulla durata della pandemia, sulle misure da adottare, su quando far partire la fase due, sul nuovo scenario economico.

Come se ormai si fosse perso il bandolo della matassa.

Appunto per questo la storia ci insegna, come se ve ne fosse ancora necessità, che bisogna essere vigili, e ponderare bene le soluzioni prospettate per evitare che ancora una volta l’impensabile, se tragico, possa prendere il sopravvento.

Un po’ come già accaduto in passato.

Ai nostri antenati cacciatori e raccoglitori, infatti, non è saltato in mente che sarebbero diventati contadini, così come gli imperi dell’antichità non pensavano minimamente al loro crollo, né l’Egitto, né i Sumeri, né Roma.

Nel ricostruire le storie di queste ed altre realtà del passato si appalesa una gran parte di ignoto e di inaspettato come saggiamente affermato dal sociologo e filosofo francese Edgar Morin.

Ed è sempre stato così.

Negli anni venti il movimento hitleriano sembrava condannato alla sterilità. Ma la crisi del 1929, una Germania umiliata dal trattato di Versailles, la divisione tra socialisti e comunisti, i poteri finanziari che pensavano di manipolare Hitler, senza sapere che lui avrebbe manipolato loro, ha fatto accadere l’impensabile: il paese più colto d’Europa è affondato nella barbarie.

Non che la storia sia governata dal caso, ma il caso e la complessità dei fattori che operano nella storia spesso determinano soluzioni inaspettate e purtroppo regressive.

Basti pensare che prima della seconda guerra mondiale la dominazione nazista in Europa sembrava generale e destinata a durare per molto tempo se non fosse stato per Benito Mussolini che decise di attaccare la Grecia dove venne fermato da un piccolo esercito, tanto da dover chiamare in aiuto l’alleato nazista che per sconfiggere prima la resistenza serba e poi quella greca dovette rimandare di un mese l’attacco all’Urss nel 1941.

Se Hitler avesse attaccato a maggio invece che a giugno sarebbe riuscito probabilmente ad entrare a Mosca evitando di essere fermato dall’inverno precoce. Il destino insomma anche di quella battaglia avrebbe avuto un esito sicuramente diverso.

Così come nessuno avrebbe potuto prevedere che all’orizzonte della dittatura comunista ad un certo punto sarebbe comparso Gorbaciov o che il re di Spagna, nutrito alla corte del dittatore Francisco Franco, avrebbe traghettato la Spagna verso la democrazia.

In Europa ormai da un po’, nubi poco rassicuranti si addensano all’orizzonte. Alcune democrazie sono in crisi tanto da lasciare il posto a regimi semi dittatoriali come avvenuto in Turchia, Russia, Ungheria e Polonia.

Mai come in questa fase stanno prevalendo soprattutto in Europa fattori negativi anche se ogni tanto intervengono fattori gradevoli e inattesi come l’elezione di papa Francesco.

La stessa idea di Unione Europea è figlia dell’improbabile se solo si pensa che è stata immaginata da uomini privati della libertà ed al confino durante la guerra.

Abbiamo cioè bisogno sempre di effettive capacità nel gestire situazioni complesse e probabilmente di un nuovo umanesimo che attinga ai principi di solidarietà e responsabilità. Insomma una nuova etica.

Bisogna creare oasi di libero pensiero improntate alla solidarietà, isolotti di resistenza che difendano valori universali e che un giorno possano diventare realtà diffuse.

E’ già successo tante volte nella storia dell’umanità, accadrà di nuovo.

Come affermato dallo storico israeliano Yuval Noah Harari la sfida posta dal Covid 19 deve spingere l’umanità solo a chiudere al virus i confini con l’uomo e non tra le nazioni. A scegliere la solidarietà globale, non il nazionalismo isolazionista, ad ascoltare leader che vogliono unire i propri popoli e non dividerli, emancipare i cittadini e non rafforzare il controllo totalitario.

Anche se la lotta contro la pandemia non può essere considerata una guerra, bisogna riflettere sulla circostanza che mai il mondo ha avuto uno stesso nemico, come ora, un avversario invisibile, sfuggente, a cui l’umanità non riesce a dare un’identità e quindi a combattere.

In assenza di élites politiche ed economiche in grado di governare efficacemente nei propri paesi ciascuno di noi deve contribuire ad una diversa narrazione collettiva della pandemia per evitare da un lato che i provvedimenti d’urgenza adottati per il breve periodo diventino parti costitutive della quotidianità, dall’altro che modelli sociali patologici dettati da condizioni di vita del tutto eccezionali e temporanei diventino definitivi.

Dobbiamo allontanare dal nostro futuro insomma una possibile società priva di abbracci tra le persone, in cui la didattica online e lo smart working diventino predominanti, in cui alla visita fisica nei musei si sostituisca quella virtuale ed in cui gli unici concerti fruibili saranno solo quelli registrati su YouTube.

Solo così riusciremo ad evitare di lasciare campo libero alla paura, evitando di creare una società ipocondriaca che accentua la sfiducia nei confronti delle relazioni umane enfatizzandone le differenze.

Mantenendo viva la memoria e la volontà di ricordare quanto ci sta accadendo riusciremo in un nuovo umanesimo rigenerato però da solidarietà verso gli altri e consapevolezza dei nostri diritti e dei nostri doveri.