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A proposito di Antonio Belpulsi (di Giuseppe Zio)

Il fascino della figura di Antonio Belpulsi è, forse, una delle cose più importanti della storia sammartinese. Fino a poco tempo fa, come dimostrano anche quegli articoli, le verità frammentarie della sua vicenda, storica e umana, si appoggiavano quasi esclusivamente sulle pagine, abbastanza estese che Luigi Sassi ci aveva lasciato nei suoi scritti. Quello che ci lascia il Masciotta, nel libro IV del suo “Il Molise dalle origini ai nostri giorni”, non fa testo, proprio perché, a parte il giudizio sferzante sull’affermazione, a cui lui non crede, che il Belpulsi fosse stato attendente in campo di Napoleone Bonaparte, nella Campagna d’Italia, altro in più non riporta, se non ciò che lo stesso Luigi Sassi gli aveva trasmesso. C’è una missiva che il Sassi manda a Masciotta che spiega come quest’ultimo usasse i molti storici locali, ben volenterosi, per costruire l’opera sua strutturata in pagine specifiche per ogni paese. Del resto non si poteva fare altro che tirare le somme di quanto Masciotta raccoglieva. Ma, tornando alla vicenda di Antonio Belpulsi, su cui Luigi Sassi si sofferma molto , sia nel libro “San Martino e i suoi dintorni”, sia nel manoscritto, ancora inedito “Uomini e fatti nella storia di San Martino”, sicuramente essa muove a curiosità, soprattutto perché i documenti ritrovati, dopo le pagine di Sassi, sono molti ma frammentari. Quando ho incominciato a scandagliare le varie biblioteche e le i le varie voci su Internet, ho trovato un filo di Arianna che mi ha portato prima a Foggia, poi a Parigi e infine in Piemonte. Tutto questo è stato dovuto alle pagine del Cortese, a quelle di Francesco Scandone, ma soprattutto al saggio, pubblicato dalla Rivista “Il Sannio” dal titolo “Contributo Documentario per una Biografia del molisano Antonio Belpulsi”, a firma del prof. Pasquale Di Cicco, persona e storico straordinari, già Direttore dell’Archivio di Stato di Foggia. E proprio in quella sede ho potuto avere uno scambio personale con lui, che mi ha indicato e fatto riprodurre i documenti del tribunale di Lucera e, poi, mi ha mostrato i documenti che lui stesso aveva raccolto da Parigi agli Archives Nationales. La storia diventa un gioco esaltante quando imbocca la strada delle testimonianze, che si dipanano come un giallo che, partendo da parecchi indizi, piano piano fa venire fuori delle verità nascoste. Allora, non contento, vuoi andare a scoprire come va a finire, e si va a raccogliere altre testimonianze come, in questo caso, gli articoli che il “Monitore napoletano”, a direzione della Pimentel De Fonseca, durante la Repubblica napoletana del 1799, aveva dedicato ad Antonio Belpulsi, in qualità di comandante della Legione Sannita, sbaragliata a Marigliano, fra Caserta e Napoli, dalle truppe filo borboniche organizzate dal cardinale Ruffo di Calabria, in quella breve stagione rivoluzionaria. E le pagine del   prof. Di Cicco, arricchite alle pagine del Dizionario Biografico degli italiani della Treccani, mi hanno portato a fare alcune ricerche fra Parigi e il Piemonte, per capire, da un lato, quale ruolo ebbe nella vicenda della Congiura del Principe di Moliterno a Parigi, per la quale fu arrestato e rinchiuso nel Tempio e, dall’altro, nelle alpi piemontesi, per cercare di dipanare i fatti finali della sua parabola esistenziale, dalla liberazione da parte di Napoleone sino alla sua morte, intrisa anch’esso di mistero. Sulla congiura le idee che possiamo farci è quella di un coinvolgimento passivo e marginale, della quale fu piuttosto una vittima di qualcun altro che per salvare se stesso fece gratuitamente il suo nome. Ciò si dimostra dal fatto che tutte le diverse descrizioni dei fatti di questa congiura, si attribuisce un ruolo spesso diverso ad Antonio Belpulsi. Ma sicuramente le lettere che egli manda dalla prigione del tempio al Primo Console Bonaparte, ad ufficiali e generali amici con cui aveva combattuto e ai suoi familiari, lo vedono chiedere con veemenza giustizia, sentendosi esso stritolato da un meccanismo più grande, dove fu appunto coinvolto “malgrado” lui. La sua vicenda fa pensare, per analogia, a quella dei molti comunisti che andarono a Mosca per stabilirvisi nei primi anni venti, dopo la Rivoluzione d’Ottobre e che, negli anni dello stalinismo, furono vittime delle loro stesse idee e scomparvero nei Gulag o furono letteralmente giustiziati, per non essersi adeguati furbescamente al “nuovo corso” sovietico. E le vicende dell’ultima parte della vita di Antonio Belpulsi fanno pensare ad un uomo distrutto dal disincanto e dalla disillusione rispetto agli ideali del primo periodo della Rivoluzione francese. In qualche modo, da un lato cerca il riscatto e , dall’altro cerca di ricostruire nuovi punti di riferimento. Ciò lo porta a non essere più conforme a niente e, perciò probabilmente pericoloso per tutti. Infatti fu ri-arrestato durante la Repubblica di Giuseppe Bonaparte e, dopo un processo a prima a Lucera e poi a Napoli, viene probabilmente mandato in esilio a a Exilles o nel carcere fortezza di Fenestrelle, sulle Alpi piemontesi. Pasquale Di Cicco, oltre a questi due forti cita pure Ivrea ma, da mie ricerche, è da escludere perché in esso venivano rinchiusi i ladri di galline piemontesi, cioè i delinquenti comuni, cosa che non poteva essere considerata per il Belpulsi. Molto attendibile è la destinazione di Fenestrelle anche se non ho ritrovato documenti in tale direzione. Ma elementi, che, secondo me lo inducono a pensare. Il più importante è che, dopo il processo imbastito dal Gran giudice Saliceti, voluto a Napoli, da notizie il Monitore napoletano del fatto che circa 70 ex ufficiali borbonici vengono trasferiti dai francesi proprio a Fenestrelle, il 26 settembre 1806. A Fenestrelle dei documenti prima del 1837 non è rimasto alcunché e di Antonio Belpulsi si perdono le tracce. I documenti che sono depositati nei faldoni che riguardano quella Fortezza, all’Archivio di Stato di Torino, portano elenchi sommari dei detenuti di un’epoca posteriore al 1830 e ciò fa perdere le tracce del nostro compaesano. Nemmeno i registri di morte della Chiesa posta all’interno della Fortezza non riportano niente, a testimonianza del fatto che i detenuti, dopo, quando morivano, dopo un sommario rito funerario, venivano sciolti in una grande vasca di calce posta proprio dietro la stessa chiesa. Come si vede, malgrado il lavoro di ricerca e di ricostruzione delle fonti storiche, il risultato, attorno a questa figura, rimane molto nebuloso e frammentario e, dopo 4 0 5 anni di lavoro ci sono molti buchi neri della parabola esistenziale di Antonio Belpulsi. Ci sono cose che si tengono insieme col filo di una certa logica ma, purtroppo, non hanno riscontri in documenti storici. Allora sono arrivato alla conclusione che l’unico modo di rendere organico questo lavoro di ricerca è quello di mettere gli elementi accertati e le supposizioni per costruire un romanzo storico che è in fase avanzata di preparazione. Il titolo che gli ho dato è L’albero del Gelso, le sette vite dell’Alfiere Belpulsi”, mettendo a fuoco quel giardino che tutti noi sammartinesi conosciamo dietro piazza della Vittoria, l’antica piazza Mercatello. Mi sono convinto che, seppure è un’operazione che ha dell’arbitrario, è l’unico modo per rimettere insieme i frammenti che abbiamo di questo grande personaggio. Il lavoro di scrittura è venuto quasi naturale e mi ha ricordato quella leggenda cinese che racconta che un Imperatore voleva un bel granchio dipinto. Chiese al più bravo degli artisti e questi gli rispose che aveva bisogno di una villa, di dieci concubine e di servi per poterlo fare dopo cinque anni. Allo scadere dei cinque anni l’Imperatore si ripresentò ma l’artista chiese altri cinque anni alle stesse condizioni. Quando l’Imperatore si ripresentò l’artista, con un gesto solo e, in una attimo, fece il granchio più bello che sia stato mai fatto. I dieci anni che sembrano passati invano hanno fatto si che l’artista si preparasse alla costruzione del disegno, così come i quattro o cinque anni precedenti sono serviti a preparare, a studiare e a meditare su questo personaggio, così il lavoro di stesura si è ridotto a pochi rapidi mesi. E mettersi su una sedia a scrivere viene dopo i molti passi spesi e gli occhi consumati nelle ricerche dei documenti e dei fatti. Io penso che più di quello che è stato fatto su questo personaggio, almeno per il momento, è impossibile fare.