E’ l’alba, il paese si risveglia al suono delle campane distese a festa.

Castelnuovo al Volturno inizia ad animarsi senza sosta per prepararsi al meglio ad accogliere le genti che avranno modo di vivere il carnevale del borgo posto ai piedi delle Mainarde.

La calma viene sopraffatta dall’ansia dei preparativi. I ragazzi animano i vicoli con frenetici via vai.

Tutto ruota intorno alla perfezione.

Arrivano i primi espositori… Castagne, miele, pane, dolci, salumi, caciocavalli…

Il mugnaio arriva con il suo bel da fare. Scarica la farina di agostinello. Si mangerà polenta per festeggiar tutti insieme alla fine dell’ancestrale rito.

Non c’è pace…Qualcuno urla : “Sbrigatve “ … Il dialetto è l’arma migliore… Ci si fa capire e tutti si animano ancor più.

Le ragazze iniziano a preparare la tavolata dell’ora di pranzo. Il convivio è straordinariamente vivo, sinergico, simbiotico..

L’odore del rito del Cervo è magicamente aleggiante come una nuvola che aspetta di nascondere il sole , anche per far ad esso un dispetto.

Iniziano ad arrivare i gruppi che animeranno la giornata sino all’arrivo de “ Gl’Cierv”.

Un coro da l’Aquila canta a cappella, due trampolieri dagli occhi azzurri passeggiano al ritmo della musica di un gruppo che ben si confà con l’euforia del momento.

Si pranza…. Il ritmo aumenta, l’euforia e l’eccitazione, complice anche il vino che scorre tra i banchi, è l’arma vincente.

Si inizia a sentir il peso della responsabilità nell’organizzazione.

I fotografi immortalano ogni istante, ogni situazione ed ogni sorriso.

Si fa sera… “ E’ ora “ ! Urla senza sosta l’instancabile Ernest . “Nuovetev “…” Nun s po’ sgarra”…

E così tutto diventa teatro, ilarità ma, riconducibile ad un senso di serietà fuori dal comune.

Arriva il momento della vestizione.

Tutti i figuranti e gli attori principali si preparano. L’adrenalina e l’emozione è palpabile. C’è chi si chiude in se stesso, chi piange e, ci si abbraccia.

Si inizia con il trucco. Vecchi e nuovi attori si confrontano, non mancano i consigli.

Il vestiario è pesante.

Le pelli di capra ed il palco fanno bella figura sul capo del giovane Fabrizio, per la prima volta in scena. Ilaria, emozionata , sarà lei la Cerva, anch’ella per la prima volta, copre il volto di Fabrizio, i due sono compagni nella vita, di un colore nero che difficilmente avrà fine immediata. Accarezzamenti, sguardi complici, soffi amorevoli di conforto e di simbiotica reciprocità, fanno il resto. Lei, una volta terminato con il trucco del Cervo, si trucca da se, sino all’adornarsi di campane che rumoreggiano già da subito.

Seduto in disparte Martino, interpretato da Luigi, si veste di bianco candore e scherzosamente rimprovera John, il cacciatore, per il suo aspetto non propriamente pronto ad entrare in scena.

Arriva Rosa, la popolana che sbeffeggia il Cervo e, tutto diventa sorriso e grinta. E’ la più anziana del gruppo ma, è davvero una forza della natura.

Ed eccole le ragazze che rappresenteranno le streghe, “ le Janare “. Urlano da subito, si spintonano per incorniciar la serata di forza e grande partecipazione attiva.

Le streghe , vero succo incandescente della tradizione del piccolo Borgo con le quali ci si parla e, le si teme da sempre, determinando la tradizione che impone il non amoreggiar il giorno del rito, proprio per evitar che da quell’amore possa nascere un frutto non propriamente gradito.

Tutto è pronto… La gente, tantissima arrivata a Castelnuovo al Volturno da ogni e dove, inizia ad essere impaziente…..

  • Buio!!!

All’improvviso il silenzio assoluto e… le “Janare” dimenandosi tra la gente formano un grande cerchio arricchito dal fuoco al ritmo di tamburi tribali. Inneggiano al maleficio aspettando che “ GL ‘ Cierv” si cali per la discesa che porta alla Piazza.

  • Urla, sbraita, si dimena. Non risparmia niente e nessuno…

Fa volar di tutto sino all’arrivo della Cerva e, la soave musica degli strumenti della tradizione, li accompagna in un confortante incontro “ d’amore”. Tutto si ferma, l’adrenalina dell’innumerevole pubblico si fonde con il contesto, l’attenzione è generatrice di forza. Ogni cosa si compenetra con la scena ma, ad un tratto tutto torna ad essere buio. La mano dell’uomo irrompe senza grazia ed… arriva Martino.

Egli si fa strada con una fiaccola per non insospettire le “ bestie “…. Il pubblico è li immobile, quasi esterrefatto dalla bellezza del rito ed, immobilizzato dalla musica dell’organetto accompagnato da zampogna , tamburello, piffero e flauto, resta attonito ma partecipe.

Pian piano con la forza di un bastone magico, Martino riesce a dominare le “ bestie “ e, le ammansisce.

Legate da una corda il Cervo e la Cerva si inginocchiano dinanzi al Mondo che viene rappresentato da Rosa, la Popolana. Con grande garbo ironizza con le “ bestie “ dando esse del cibo in più riprese non gradito. L’ironia è dirompente… La razionalità viene meno ed il sopravvento prende il volo sino alla spiccata gioia di ella nel poter liberarsi del suo piacere con un sonoro “ Va a fancul “. Un invito che spodesta le bestie dal trono e le rende un tantino più umane.

Senza tregua, la musica porta alla vittoria l’uomo nei confronti dell’animale che manifestandosi attraverso il cacciatore, in scena imbracciando un fucile, nel vedere le bestie inermi poiché legate e trattenute da un Martino sempre più al centro, spara e….. rende giustizia al bene .

Le bestie cadono ferite a morte, non si rialzano più ! I lamenti e le urla sono lì a decadere tra lo stupore e l’attesa del lungo applauso finale che arriverà da lì a poco.

Martino, il bene, lancia uno sguardo al cacciatore e, con un’alitata pone sigillo alla nuova vita. Il grande fuoco prende corpo, la vita sorride al Mondo, le “ Bestie “ diventano amiche dell’uomo.

Tutto si dissolve con una musica d’incanto, gli attori escono di scena, il pubblico entusiasta inneggia al bis e diventa protagonista.

La piazza, scena della pantomima, diventa palco per la gente comune che riversandosi festante verso il Cervo, che con la sua morte ha ridonato, nel tornare in vita, la speranza di un ritorno senza fine con la ritrovata voglia di rivivere la comunità che non guarda alla razza, alle differenze, alle “ malelingue “, ma che offre sapori, saperi, cultura e tanta umanità, vuol fino alla fine godere del rito ancestrale per farne dono ai loro cuori.

Il male si può debellare e la cultura è la via. Le tradizioni pongono l’essere e l’uomo ,deve necessariamente genuflettersi ed esso….. Non più “ guerre “ ma “ uomini Cervi “.

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