Non avrei potuto chiamare una rubrica sul cinema “La voce della Luna” per poi non parlare di Federico Fellini. Non farlo nell’anno del centenario della sua nascita poi, sarebbe stato un delitto.

Perché “la Voce della Luna”? Perché la luna nell’immaginario collettivo è rappresentazione massima del desiderio, ma anche il cinema è corretta espressione del Desiderio. E perché il film più poetico che ha per oggetto la luna è proprio il film di Fellini che va sotto quello stesso nome.

Non è un caso che se dovessimo immaginare la storia del cinema come un colossale lungometraggio, questo si aprirebbe proprio con la conquista della Luna: “Voyage dans la Lune”, di Georges Melies, il primo film della storia con tanto di montaggio ed effetti speciali, siamo nel lontano 1902.

Quella Luna, tanto amica della letteratura. Che per Dante fu un orologio durante il viaggio nell’ultraterreno. Quella stessa luna che permise ad Astolfo di ritrovare il senno perduto da Orlando. Luna che nella musica diventa poesia, con Lucio Dalla, in una rielaborazione singolare dell’apocalisse di Giovanni, in cui i sette sigilli diventano lune, e la cui ultima venuta non è più giudizio teologico ma speranza terrena (“L’ultima Luna”). Luna che infine, con Melies, apre la storia del cinema e che attraverso di esso diventa raggiungibile e tangibile per la prima volta, così come contestualmente diviene tangibile il cinema grazie a questa stessa pellicola.

Poi per un breve periodo della storia umana, la luna perde la sua evanescenza. E paradossalmente proprio in coincidenza dell’allunaggio. Quel desiderio si fa carnale, e spoglia la Luna della sua mitizzazione. E mentre la Luna viene conquistata per davvero, il consumismo ed il materialismo deteriorano la dimensione del sogno.

Poi, per fortuna, l’immaginifico tornerà ad essere chiave della sua lettura quando, la Luna, sarà oggetto dell’ultimo film di Fellini, “La voce della Luna”, siamo nel 1990, sarà il suo testamento.

Ivo Salvini è il protagonista, ragazzo poetico ed ingenuo, psicologicamente disturbato. E l’amico di Ivo, il prefetto Gonnella, un paranoico che vede complotti ovunque. I due che vagano per la Pianura Padana, avvolti da un tetro alone di nebbie e umidità, che ascoltano le voci che provengono dai pozzi. Le voci dei pozzi, appena percepibili ma inafferrabili, che suscitano ad Ivo continue domande sul perché delle cose. Queste criptiche voci, che sembrano la prova della sua pazzia, e che espandono il ventaglio dell’incomprensibile.

E le loro esplorazioni nella pianura si avvicendano ad un evento e si legano ad esso: gli uomini del posto stanno conducendo lunghi festeggiamenti dopo essere riusciti nell’impresa di catturare un pezzo di Luna.

La Luna, i pozzi e le voci che assumono significati ben precisi: la prima come inafferrabilità del mistero, i secondi quali profondità della Natura e dei significati di questa, le terze in qualità di risposte che l’essere umano cerca spasmodicamente di darsi per placare la sete dei perché e per attenuare il conseguente buio dell’anima. L’uomo comune che risponde con l’istinto: cerca di catturarla, la luna. Quasi ad estirparne il male. L’incomprensibile che va estinto. Con la sua cattura, l’uomo crede fallibilmente d’aver domato quell’istintivo desiderio primordiale, crede d’aver svelato ogni Mistero.

Per Ivo invece tanto la luna, quanto le voci esercitano un fascino inspiegabile quanto irresistibile. Lui ne è attirato ingenuamente come un San Francesco attirato dal canto delle creature. Ne è sedotto e rimesso. E sarà l’unico che proverà docilmente ad accettare il Mistero per così come gli si presenta. Intenderà il mistero quale carburante della vita, capace di suscitare un’inesauribile curiosità. Tanto che trovandosi a parlare con la Luna stessa, lei sberleffamente lo ammonirà: “guai a capire, e che faresti dopo?”.

Insomma, in Fellini, tutti quei sogni, quei desideri; tutti quei film, quelle domande; tutte quelle voci, quei suoni. Ma senza mai genuflettersi alla tentazione delle risposte. Perché la vera forza risiedeva nella domanda. Ora, a voler circoscrivere il genio di Fellini si commetterebbe peccato, però penso che in questa più che in altro risieda la sua grandezza: essere stato espressione del mistero ma non risolutore di esso. Non essersi macchiato con la perversione umana delle risposte. Nel non essersi perso in un’attività arrogante. «Ci sono già troppe cose superflue al mondo, non è il caso di aggiungere altro disordine al disordine. […] Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. A un’artista, veramente degno di questo nome, non bisognerebbe chiedere che quest’atto di lealtà: educarsi al silenzio.» Faceva dire Fellini al personaggio di un altro suo film, 8 e 1/2, un film che è luce e grazia.

In questo risiede la sua possanza ma non con questo si risolve. L’aver edulcorato l’incomprensibile attraverso il sogno e l’immaginifico, ecco, anche in ciò non ha avuto rivali.

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