I Poeti hanno risposto alle nostre sollecitazioni! Siamo felici di proporre oggi l’intervista che la poetessa Ilaria Boffa ci ha rilasciato. Le abbiamo posto delle domande sul mondo, sulla vita, sulla Natura, sul tempo, su noi tutti…

Ilaria Boffa è nata nel 1972 e vive a Padova. Laureata in Economia presso l’Università di Trieste, lavora in ambito educativo per un’organizzazione multinazionale no profit. Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie Spaces nel 2015, nel 2016 The Bliss of Hush and Wires/Periferie e nel 2019 About Sounds About Us/Di suoni e di noi con Samuele Editore.

Ho letto qualche settimana fa sulle pagine de La lettura che, nel saggio “The Good Ancestor, il filosofo Roman Krznaric introduce il pensiero-cattedrale, ovvero la capacità dell’uomo di fare progetti a lungo termine pur sapendo che molto probabilmente non avrà modo di vederli realizzati. Secondo te, noi esseri umani siamo ancora capaci di pensarla così?

Il pensiero a lungo termine o visione di lungo periodo, neuro-scientificamente serve al cervello per rafforzarsi, quindi preservarsi ed evolvere. La nostra capacità di utilizzare a pieno questo processo dipende, a mio avviso, da una serie di fattori: sistemici (che prospettive predilige il mondo cosiddetto sviluppato e moderno?), tecnologici (la rapidità del possesso dell’informazione ha ridotto la nostra ansia/desiderio di costruzione del futuro?) evolutivi (la tecnologia ha compresso la nostra complessità cognitiva?) sociali (quali collettività costruiscono quali paesaggi esistenziali?) individuali (in cosa si realizza l‘essere umano?).

Credo che processi collettivi interdisciplinari (arte, scienza, filosofia, antropologia, tecnologia, altro) di ‘unlearning’ e ‘de-familiarizzazione’ da schemi e pattern cognitivi, comportamentali e affettivi possano guidare verso nuove direzioni di lungo respiro.

Pensi che la grande attenzione data mediaticamente al “climate change” possa trasformare il problema in un tormentone carico di retorica svuotato quindi di una vera riflessione?

Ritengo che occorra studiare, allenare il pensiero critico e complesso e che per questo non sia sufficiente fermarsi alla superficie. Non abbiamo tempo per la riflessione passiva, è indispensabile passare all’azione attraverso la consapevolezza fattiva e la responsabilità. Il processo di distruzione della biodiversità in corso, l’inesorabile progressione della VI estinzione di massa non dovrebbero farci dormire la notte.

Tra giovani e adulti chi vince secondo te nella comprensione del problema del riscaldamento climatico?

Il global warming è un fenomeno assolutamente democratico e intergenerazionale. Per offrire delle soluzioni serve il contributo di ogni singolo individuo, senza distinzione di età, genere, lingua o cultura. Non si affronta questo hyperobject con inutili contrapposizioni ma con un’azione collettiva, responsabile, compassionevole e radicale.

Occorre insegnare a ‘farsi carico’, a spostare il focus oltre noi, il pudore della non unicità.

Nella tua “Ode alla plastica” dici: «Siamo plastica / incapaci di separarci e decomporci. /Congelati nel tempo».   È una cosa buona?

Non c’è valore né giudizio. È solo la rappresentazione di uno status, l’accettazione di una modalità narrativa dell’esistente. La presenza di dolore, ardore, ansietà, paura, frustrazione, risentimento, desiderio, audacia, amore creano condizioni di piacevolezza o non piacevolezza, e non di negatività o positività.

L’essere plastica individua una permanenza, l’incapacità di separarsi e decomporsi mostra l’appartenenza senza soluzione fisica.

Secondo te, oggi, il Pianeta sta meglio o peggio dell’anno scorso?

Credo che ragionare in termini di ‘si stava meglio quando si stava peggio’ o ‘con la pandemia abbiamo imparato la lezione’ non sia d’aiuto. Ci sono troppi fattori, troppi parametri, troppi sistemi, troppe variabili spazio-temporali. Qui entra in gioco il pensiero di lungo periodo, l’analisi di dati sequenziali, la pazienza dello scorrere della complessità. Credo si debba fare esperienza e costruire su questa. Ascoltare attivamente, empaticamente. Ricercare e sperimentare. Agire responsabilmente. Educare alla Bellezza. Divenire.

Sono tanti i poeti che a tuo parere hanno sensibilità verso la tematica ambientalista e scrivono “versi ecologici” o almeno “quasi ecologici” per dirla con il nostro grande Caproni?

Forse porsi il problema della quantità non è la domanda esatta. Esiste una coscienza artistica ecologica, che pone l’arte (e la poesia in questo ambito) quale guida e direzione, visione che possa impattare sugli scenari politici, economici, sociali attuali e futuri.

Non è indispensabile l’esplicito attivismo ecologico. La poesia può sollevare dubbi e domande, osservare la realtà, offrire immagini e orizzonti. Si può narrare dei canali dei campi della nostra infanzia che hanno lasciato il posto a centri commerciali, banche e pompe di benzina; del suono impercettibile delle lucciole. Ricordi, piccoli frammenti di estinzione.

Ringraziamo Ilaria per queste preziosissime riflessioni e vi lasciamo con la sua poesia Ode alla plastica:

La lentezza di questi anni.
Ho sentito una ragazza cantare:

Non ho anima
non conosco amore
sono acqua
Non ricordo perché sono qui
Non ricordo perché
Non ricordo

Siamo plastica
incapaci di separarci e decomporci.
Congelati nel tempo.