Mio nonno soleva dire: “scrìve è arta liègge!“, scrivere è arte leggera! Ma poi aggiungeva con la sua espressione sorniona:”… ma è sèmpe cchiù pesànte da zappa!“, ma è sempre più pesante della zappa! Con questo intendeva dire che se, anche l’atto ultimo dello scrivere sembra lieve, esso presuppone impegno e lavoro, studio e applicazione che non si vedono! Quando ho letto le Lezioni Americane di Italo Calvino nel primo capitolo, dedicato alla leggerezza, lo scrittore afferma esattamente la stessa cosa! E allora ho sempre pensato che la differenza tra uno scrittore, o un lettore, e un contadino come mio nonno, non fosse nel capire le cose ma renderle manifeste a tutti con le parole adatte. Allora “perdere tempo”, nel leggere e scrivere, non è mai tempo sprecato! Leggere e scrivere rendono migliore una vita e, in alcuni casi, la definiscono, ne tracciano la traiettoria. Quand’ero ragazzo e incominciava a definirsi la mia personalità, attraverso i miei desideri e i miei sogni, pensavo di fare il medico, perché avevo letto Dickens e il suo David Copperfield e mi sembrava che quella professione aveva qualcosa di santo e di eroico e che appunto mi portava ad essere “eroe della propria esistenza”, unica ragione per cui la vita mi sembrava degna di essere vissuta. Guardavo anche alle figure di medico del mio paese, i mitici Dott. Sabetta e Don Vincenzo Macrellino e dicevo tra me che erano dei santi votati all’uomo per la loro disponibilità e il loro carattere sempre disponibile. Adesso non so se è stata più il loro esempio o le mie letture ma sta il fatto che ho intrapreso questi studi. Ci sono volute sovrumane fatiche per riuscirci e ho dovuto mettere per anni da parte la mia voglia di scrivere, che covava sotto la cenere, rinfocolata all’Università dal fatto di convivere nello stesso appartamento con uno dei maggiori scrittori italiani contemporanei, Marcello Fois, che, avendo capito le mie passioni nascoste, mia dava da leggere le sue prime pagine. Molte volte mi chiedeva, a mò di scusa, se non mi facesse perdere tempo e io rispondevo di no! Perdere tempo con la lettura mi aiutava anche nello studio, poiché si staccava da letture impegnative ma si rimaneva con la mente sempre attiva, anche se cose più piacevoli. il leggere stesso, quindi, era per me un gran divertimento, così come, più tardi, ho scoperto che scrivere è un gran divertimento, magari misto ad angoscia, fatica e frustrazione, ma pur sempre un divertimento, perché il piacere di scrivere una bella frase, soprattutto se cominciava male, e magari migliorava dopo che la riscrivevi quattro volte, è un piacere senza pari negli annali della soddisfazione umana. E qualunque cosa che desse tanto piacere e tanto divertimento non può essere considerata eroica come fare il medico! Ma poi ho capito che anche fare lo scrittore poteva salvare delle vite! Che anche alcune pagine dei libri potevano cambiare il mondo e la realtà: basti pensare a ciò che è successo a Matera quando Primo Levi scrisse una mezza paginetta sul suo Cristo si è fermato a Eboli! Basti pensare al Cesare Beccaria del Dei delitti e delle pene. Poche parole possono cambiare le prospettive degli uomini, i loro sogni e le loro aspettative e spesso salvare vite come fa il medico nella sua costante attività di eroe della quotidianità! Solo che alcune parole possono farlo per l’eternità!