Ho avuto la fortuna di avere molti maestri nella vita, alcuni conosciuti direttamente, altri che sono venuti a conoscermi tramite buone letture, viaggi, incontri fortuiti sui libri di studio, sui quotidiani o su internet. Insomma, sono stato un allievo di molti maestri, più che un maestro di molti allievi. Perché onorare i propri Maestri? Chi ha dedicato i suoi sforzi, le sue energie migliori, ad insegnarci qualcosa e ad indicarci un sentiero da percorrere, merita la nostra riconoscenza. Abbiamo Maestri in carne ed ossa, Maestri che ci hanno ispirato tramite i libri, Maestri simbolici. Abbiamo Maestri che ci hanno insegnato cose e Maestri che ci hanno indicato la strada per apprenderle da soli. In tutti i casi, la loro conoscenza è entrata in noi perché noi la possiamo trasmettere ad altri.” In questi gironi di tempo sospeso ma con una primavera che incalza, sento avvicinare il trenta aprile e la millenaria rinascita della Primavera, celebrata a San Martino con la Corsa santa dedicata a San Leo. Ma quest’anno è stata annullata per questa pandemia ingiusta e non so perché, e più di altri anni, (forse perché il vuoto chiama vuoto), sento la mancanza di colui che considero un mio secondo padre: il professor Michele Mancini. Charles Burney, venuto in Italia nell’agosto del 1770, per raccogliere materiale per la sua mastodontica opera “Storia generale della musica”, racconta di aver avuto i lucciconi agli occhi quando, a Bologna, incontrò Padre Giovanni Battista Martini, nella sua biblioteca privata di 17.000 volumi e spartiti di musica, fra cui molti originali di Mozart. In quel momento era sicuramente la Biblioteca di testi musicali più imponente di tutti i tempi. Burney ci racconta di essere stato colpito da questa importante raccolta di libri, quadri e spartiti musicali, ma soprattutto da come lo stesso Giovanni Battista Martini guardava quella sua immane opera e dalla dolcezza e mitezza del suo carattere. Burney racconta che questo frate francescano fosse “piccolo di statura, mite e gentile”. E questa definizione calza a pennello a Michele Mancini, sia dal punto di vista fisico che caratteriale e, soprattutto, nel rapporto con i libri. In alcune fasi della nostra amicizia ho colto negli occhi di Michele una luce straordinaria e, in particolare in due momenti: 1) quando mi fece vedere la sua nuova Biblioteca, fatta di scaffali di legno laccato bianco, che aveva fatto nella sua casa, costruita con i risparmi del suo lavoro. E ovviamente quegli scaffali erano zeppi di libri! 2) e quando entrammo alla Feltrinelli a Bologna, nel 2006, ospiti del prof. Domenico Marrano, in qualità di Presidente del Consiglio e di Assessore, poiché l’Amministrazione bolognese concesse allo stesso prof. Marrano il Nettuno d’oro. In tutte e due le occasioni quella luce dei suoi occhi denotava la sua grande passione per i libri! Charles Burney alla fine delle sue memorie annotò. “Giovanni Battista Martini è un uomo che ricorda e perciò sarà ricordato!” ed è così: a Bologna, da circa dieci anni, su quel lascito, su cui sapientemente, su supplica dello stesso Martini, il Papa Benedetto XIV, già cardinal Lambertini, aveva emesso una scomunica a chi, in futuro, avesse osato smembrare quel lascito in libri e opere del frate francescano. Da qui si è costruito un museo della musica straordinario, dove si possono vedere anche lettere di Bach e di Mozart! Con Michele, con la sua libreria, i suoi studi, le sue scelte culturali e le sue tre importanti opere scritte, sarà ricordato come fra i più importanti cittadini di San Martino e studiosi del Molise intero, perché ha aiutato, con la sua opera, a preservare la memoria storica e il valore culturale e antropologico delle tradizioni della sua e della mia comunità! Il suoi primi due libri “La Primavera, il carro e il bue” e “Tra cielo e terra” ci raccontano una comunità attraverso straordinarie feste e cercano di scavare a fondo per trovare addentellati identitari nelle culture millenarie. E grazie ai suoi giudizi obbiettivi e moderati, anche a ricostruire la storia e le personalità delle vicende politiche dal dopoguerra in poi, degli uomini e le donne della comunità sanmartinese, e non solo! Questo l’ha fatto con il suo terzo libro dedicato alle vicende della Società Operaia. Michele oltre ad essere uno studioso è stato uno dei protagonisti di queste vicende, rivestendo fra il 1973 e il 1978, la carica di Sindaco e poi di consigliere di opposizione, fino alla legislatura fra il 2002 e il 2007, dove ha ricoperto la carica di Presidente del Consiglio Comunale, mentre io ero Assessore alla cultura. Nel frattempo è stato più volte segretario della locale sezione del Partito Comunista e membro delle Direzioni di federazioni e regionali, nelle quali spesso ci recavamo insieme. Ma andiamo per ordine: Michele Mancini nasce il 19 febbraio del 1942, da una famiglia di contadini di umili e modeste condizioni, ma che capiscono la grande intelligenza di questo figlio e gli permettono di studiare con grandi sacrifici. Ai suoi genitori dedica la sua terza opera, quella sulla Società Operai, scrivendo “ ai miei genitori che, come milioni di persone non lasciarono tracce sulla terra”. Michele è un ragazzo studioso e intelligente e grazie al fratello più grande che lo ospita, va a studiare alla facoltà di Lettere della Sapienza di Roma. Si laurea giovanissimo, all’età di 23 anni, per poi tornare a San Martino ed insegnare italiano nella scuola media. Lo farà per decenni in modo egregio, diventando il professore di intere generazioni di ragazzi, che lo ricordano per il suo equilibrio e la sua cultura, ma soprattutto per la sua grande capacità di ascolto. La sua grande capacità di ascolto è stata sempre un tratto distintivo della sua personalità. Ascoltava e non si alterava mai, né alzava la voce, anche quando, forse, ce n’era bisogno. Nemmeno nella Sezione del PCI non ha mai alzato la voce, anche quando alcuni ragionamenti lo facevano arrabbiare. Magari lo diceva dopo ma in quel momento era sempre pacato, quasi distaccato. Michele venendo da una famiglia comunista era anche l’orgoglio di mio padre Carlo che gli lasciò volentieri la carica di segretario di Sezione, nel 1969. Mio padre ripeteva sempre di averlo fatto con orgoglio e mi diceva: “Michele è il primo laureato comunista di San Martino e se verranno altri come lui, il futuro per l’Italia e per il nostro paese sarà sicuramente migliore!” Io non mi ricordo come conobbi Michele. Ho sempre avuto la sensazione che ci fosse da sempre nella mia vita: le prime immagini visive, i primi ricordi sono di quando ero piccolo e lo vedevo aiutare mio padre a sistemare i libri nella cartolibreria che era dei mie genitori. Con lui ho da sempre trattenuto un colloquio fitto, fatto di scambi di idee sulla lettura, sulla politica e sulla storia. In quegli anni di adolescente, la sua figura e quella del maestro Oberdan Stingone, sono state le mie figure di riferimento.

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