LUCREZIA MARINELLI, nata a Venezia nel 1571 e morta nella stessa città lagunare nel 1653, è scrittrice profondamente dotta di studi umanistici.

Anticonformista, sposa a quarantanni di Gerolamo Vacca, medico, due figli, figlia a sua volta del medico filosofo Giovanni Marinelli, intellettuale molto noto per le sue trattazioni nella riaccesa “querelle de femme”, nella sua vastissima produzione la lirica occupa un posto privilegiato e la sua predilezione è tutta per Torquato Tasso, il celebratissimo autore della Gerusalemme Liberata.  

Nei versi dell’Enrico ovvero Bisanzio acquistato, considerato dalla critica letteraria il capolavoro in cui Lucrezia esprime il suo orgoglio di donna e di intellettuale per l’avvio della grandezza di Venezia in direzione dell’Oriente muovendo dalla quarta Crociata condotta dal vecchio Doge Enrico Dandolo, la rarefazione della trama si compenetra di emotività specie nella descrizione della sfortunata storia d’amore tra Clelia e Lucilio: questi parte per la Crociata, nonostante sfavorevoli presagi, e va incontro a una tempesta e al suo naufragio. Clelia intanto sogna l’immagine dell’amato e si precipita sulla spiaggia, ne raccoglie il corpo e muore con lui fra le braccia. Motivo, questo, già preromantico, certamente melodrammatico e addirittura emblematico di un nuovo genere espressivo.

Altri episodi di gran fascino offre l’Enrico, poema in ottave come il modello tassiano, ove gli eventi sono immersi in scenari di magico incanto e la natura è indagata con moderna attenzione. L’opera comprende storie di diverse donne, direttamente o indirettamente coinvolte nella causa principale. I personaggi femminili, tuttavia, rispetto all’opera del Tasso (e alla tradizione precedente), sono meno stereotipati, meno circoscritti nei ruoli classicamente riservati alle donne, più forti e indipendenti.

La passione sentimentale che muove le trame epiche permea anche le rime d’amore della scrittrice, pervase anch’esse da un senso panico naturale.

Il termometro dei sentimenti è il movente anche del poema mitologico Amore innamorato e impazzato (poi impazzito) e delle operette religiose, ove – sempre in ottave – il ritmo del canto cortese richiama i percorsi, anch’essi epici, della fede, ridando vigore alla vita di Maria (La vita di Maria Vergine, imperatrice dell’Universo) e alle storie di santa Colomba, di santa Giustina e di san Francesco.

Immutata, a fronte dei temi, resta così la tensione d’amore, come si accoglie da questi versi:

Se io ardo, oimé, se io moro,
dicanlo que’ begli occhi
quai fur le mie faville, anzi il mio foco.
Un ardore dolce, nella luce malinconica della
Serenissima, i chiari lumi in lucido oro affisi.

L’Accenno alla Serenissima, nel magico tramonto dell’età aurea che Venezia vive sul finire del Cinquecento e che la fa assomigliare nel suo Rinascimento alle sofisticate atmosfere del Nord Europa, alle Fiandre come alla Praga di Rodolfo II, e il dibattito culturale, quanto mai originale e intenso condotto da Lucrezia, fanno di lei una intellettuale che sembra uscire da un dipinto di Paolo Fiammingo insieme ad altre nobildonne, intente a discettare, in ville e tra concerti e feste, di virtù femminili.

Lucida e coraggiosa, Lucrezia Marinelli si inserisce consapevolmente in quella “querelle des famme” tornata di moda nel Seicento (scrittori vi presero parte esprimendo giudizi positivi sulle donne; altri le criticarono violentemente), in lotta – in uno con Moderata Fonte e il suo “Il merito delle donne” – contro la misoginia imperante grazie all’opera “La nobiltà et eccellenza delle donne, co’ difetti et mancamenti de gli uomini”, pubblicata per la prima volta nel 1600 e oggi recuperata, studiata e rivisitata. L’interesse per tale opera, oltre che nella catalogazione delle donne illustri (e sono davvero tante), risiede proprio nella proposta di una nuova interpretazione della storia allora conosciuta per affermare la dignità del sesso femminile in polemica con i Donneschi difetti di Giuseppe Passi (1599). Scrive Lucrezia in esordio: “[…] non mancano scrittori, che stimolati da odio o da fiero sdegno con copiose menzogne vanno detraendo l’altrui fama e honore. Sono i primi per loro stessi degni di nota. I secondi non sono in tutto da esser vituperati, già che di così nobili ingegni sono ornati, ma ben degni di biasimo reputano tutti gli huomini coloro che o da invidia o da particolare odio si movono. Io in questo mio discorso voglio seguire i primi, come quella, che è desiderosa che questa verità risplenda appresso ad ogn’uno, la quale è, che il sesso femminile sia più nobile e eccellente di quello degli huomini; e spero così di manifestarla con ragioni, e esempi, che ogni huomo ancor che pertinace, sarà sforzato con la propria bocca a confermarla.”. Passa quindi a illustrare il piano dell’opera, che risulta diviso in due parti: nella prima, affronta “la nobiltà e l’eccellenza delle Donne, la qual sarà divisa in sei principali capi; ma il quinto conterrà sotto di sé undeci capi particolari;” nella seconda parte sono spiegati “i Diffetti e le brutture de li Huomini, la qual sarà divisa in trentacinque capi.

Qui, oltre a rivendicare con citazioni autorevolissime la dignità femminile, ridonandole l’anima che la filosofia platonica aveva sottratto alla donna e attestando che “da superiore cagione nasce la beltà e la maestà del corpo” della donna stessa, Lucrezia conferisce alle donne identica capacità di “imparare le medesime arti e scienze”, per passare quindi in rassegna donne perite in diverse arti, misconosciute alla storia, ma non ignote agli uomini che la storia di tali arti hanno fatto. Ecco altre donne che riporta degnamente alla memoria attraverso una lunga elencazione: Diotima, filosofa seguace di Socrate, come riporta Platone nel Simposio; Laura Veronese, figlia di Niccolò, autrice di versi saffici, di epistole e di orazioni in lingua greca e latina; Cassandra Fedele, “autrice di un elegante libro dell’ordine delle scienze e faceva bellissimi versi lirici”; Lucrezia d’Este, duchessa d’Urbino, degna di “grande meraviglia per il suo profondo sapere nella Filosofia e nella Poesia”; e così Veronica da Gambara, citata nientemeno che da Ludovico Ariosto nei suoi versi; Vittoria Colonna, dottissima compositrice di sonetti, anch’ella celebrata da Ariosto, e molte altre ancora.

Dal punto di vista stilistico, Lucrezia Marinelli risente dell’influenza del Barocco, giunto in questa città proprio alla fine del Cinquecento, in quanto la scrittrice si avvalse di una retorica stravagante, sì per colpire l’attenzione del pubblico, destinatario primo della produzione letteraria, ma soprattutto per suscitare emozioni.

Tematiche e stile delle sue opere furono pertanto influenzate dall’ambiente e dal contesto storico in cui la scrittrice visse ed operò. Non a caso proprio a Venezia il dibattito sulla querelle si era sviluppato in modo particolare, come non a caso alcune principali protagoniste di tale querelle sono state veneziane. La città, infatti, non era soggetta all’autorità papale da lungo tempo, oltre a contrapporsi con forza a Roma e alla cultura ufficiale della Controriforma, sostenendo e ospitando anche scrittori, pensatori e personaggi di spicco, fautori di ideologie non ben accolte dalla Chiesa Cattolica.

Venezia fu da secoli, dunque, sede di un’importantissima cultura laica, oltre che punto di convergenza dei traffici mondiali, e ciò favorì la libera circolazione di idee e di testi. Le condizioni che consentirono nella prima metà del ‘600 una straordinaria produzione di opere di donne sulle donne, vanno ricercate proprio nella costituzione veneziana. Determinante fu senza dubbio la maggiore libertà di espressione di cui godevano gli intellettuali a Venezia, in base a cui anche la Marinelli, fra le altre, poté elaborare la critica alla condizione femminile e richieste per la “libertà donnesca” che, a seconda dei casi, si configurano in maniera ben precisa: richiesta di libertà di studio, di movimenti, di scelta della propria vita (nella famiglia, nella società), e quindi richiesta di istituzioni politiche che garantiscano una dimensione politica della donna. Ciononostante, neppure a Venezia tali istituzioni permisero alle donne una loro partecipazione attiva alla vita politica e sociale come le scrittrici avrebbero auspicato. Nelle loro opere, sicché, esse non risparmiarono le critiche alla Repubblica veneziana per il fatto che tutti i principi base della sua costituzione si reggevano proprio sulla soggezione e sull’emarginazione delle donne.

Marinèlli, Lucrezia. – Poetessa veneziana, nota anche come L. Marinella (Venezia 1571 – ivi 1653). Oltre a diverse opere poetiche (La Colomba sacra, 1594, vita di s. Colomba; La vita di s. Giustina in ottava rima, 1606; L’Enrico, ovvero Bisanzio acquistato, 1635; ecc.), pubblicò Le lacrime di s. Pietro di Luigi Tansillo cogli argomenti e colle allegorie di L. M. (1606). Nel discorso La nobiltà et l’eccellenza delle donne, co’ difetti, et mancamenti de gli huomini (1600) rivalutò la presenza femminile nella storia.

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