Qualche settimana fa, sulle pagine di questo giornale, diventato in poco tempo un’autorevole e vivace voce della nostra Regione, ho fatto, a volo d’aquila, un sommario e probabile superficiale quadro della storia del rapporto fra Letteratura e Medici scrittori. Il tema, lo riconosco, trattato in due paginette, è potuto sembrare poco approfondito e, infatti lo è stato. E’ quasi impossibile descrivere più di duemila anni di rapporto proficuo fra letteratura e medicina in così poco spazio! E con questo scritto voglio in parte riparare a quel torto richiamando l’attenzione su uno dei grandi personaggi del ventesimo secolo che ha ridato vita, con la sua scrittura appassionante, alla medicina del racconto: Oliver Sacks. Medico e neurologo americano di origini ebree, ultimo figlio di una famiglia dove sia il padre che la madre, che i due fratelli maggiori, erano a loro volta neurologi.

Molti avranno pensato che la sua scelta di diventare medico fosse quasi passiva, dovuta al clima e all’aria che si respirava in casa. E invece non è così: sembra che nel suo essere medico fosse confluita tutta la passione della famiglia per il proprio lavoro, che diventava pane per colazione e companatico per cena.

Egli, negli anni, fra il 1985 e il 2017, ha scritto molti libri e io ne ho letti e riletti soltanto tre: “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, che gli diede fama aldilà della professione,”Risvegli” del 1987, da cui è stato tratto uno straordinario film con il molisano De Niro, e “Musicofilia” del 2008. Quest’ultimo libro, con i suoi casi, che riguardavano il rapporto con la musica, spesso esaltato da un trauma neurologico, mi interessava, devo confessare, da molto vicino per capire se in me ci fossero problemi in alcune aeree della mia corteccia cerebrale e del mio talamo, per i quali non sono mai stato un grande estimatore di alcuni generi musicali. Infatti, se si eccettua, una passione per la musica e l’opera italiana, che deriva anche dalla educazione impartita a tutti noi scolari dal maestro elementare Lillino Cardone, io  amo poco di jazz, se non in maniera smisurata Paolo Conte e Dizzy Giellespy, non amo quasi per nulla il rock, ad eccezione dei mitici Jehtro Tull, Phil Collins e Sting, e rivolgo una attenzione alla musica italiana che non va oltre Pino Daniele, Fabrizio De Andrè,  Francesco Guccini e Ivano Fossati. Tutto questo mentre amici miei, tra i quali Michele Di Giglio e lo stesso Corrado Sala, snocciolano entusiasti, e con passione, a menadito musicisti e cantanti di ogni spazio musicale. Mi sono detto sempre: forse io sono dotato di meno di loro in qualche parte del mio cervello e ho cercato di capirlo con il libro di Sacks.  Non è ho letti altri ma questi li ho letti e riletti, perché mi danno la piacevolezza di un racconto specifico e empatico con i casi e le malattie dei propri ammalati. Non sono solo storie cliniche ma racconti psicologici intensi che consiglierei di leggere a medici e ammalati per recuperare l’unicità dei pazienti, che forse, anzi senza forse, non medici tendiamo a dimenticare. In alcuni momenti di questa branca della medicina, per la netta delimitazione delle aree dell’encefalo deputate da una certa funzione specifica, è sembrata essere arrivata alla conclusione che il danno in un determinato spazio desse da solo una conseguente serie di disturbi o di sintomi, oltreché un decorso più o meno fausto o infausto. A quel punto è arrivato Freud a rimettere a posto tutto e a parlare di “Coscienza” e di interi emisferi, rimettendo tutto in discussione e rigirando la frittata di quella branca medica e della psichiatria, come non aveva fatto nessun’altro.  E ciò, tra le altre cose, mi fa ritornare sempre un insegnamento che ripeteva a lezione il prof. Domenico Marrano, sanmartinese trapiantato a Bologna, dove è diventato uno dei luminari della chirurgia di quell’Ateneo e della Clinica chirurgica del sant’Orsola. Egli non si stancava di affermare che le malattie sono sui testi di medicina mentre noi avremmo incontrato gli ammalati che sono la realtà quotidiana. Non esistono le malattie ma gli ammalati! E ci esortava sempre di visitare e parlare con l’ammalato, anche se questo veniva con una diagnosi certa fatta da altri medici. Ci esortava a ricominciare il racconto di quella vita, di aprire sempre un nuovo capitolo.  E invece, nei nostri giorni, spesso per pigrizia e ancora più per comodità, abbiamo sostituito con un linguaggio tecnico il racconto del paziente, cosa che non avveniva fino a tutto l’ottocento, soprattutto se il paziente aveva problemi neurologici o psichiatrici. Ho avuto la fortuna di leggere i casi che un altro mio paesano, il prof.  Niccolò Barrucco, anch’esso professore a Bologna dal 1898 al 1904, dopo essere stato anche per anni nella clinica viennese del Prof. Kaposi, che trattavano di dermosifilopatia, e in particolare degli effetti neurologici e psichiatrici di una malattia devastante come la sifilide, e vi ho trovato effettivamente una capacità di osservazione della persona che noi abbiamo oramai demandato a strumenti sofisticatissimi.

Allora i racconti che fa Oliver Sacks dei suoi pazienti, con le loro storie, in questi giorni li rileggo anche per non sentire solo cifre, di nuovi contagi e di morti, giornalmente sgranate come un rosario. Le pagine che regalano i racconti de “l’uomo che cadde dal letto”, oppure di “Rebecca” o dei “Gemelli” o de “l’Artista autistico” mi servono a riflettere giocando sul doppio piano della letteratura del racconto e della medicina. In fondo quando si rilegge non si fa altro che verificare come si è cambiati. Non c’è niente di migliore di un libro per capire come si cambia negli anni. E i libri di questo scrittore hanno il dono di farmi capire come io sia anche professionalmente cambiato e in che direzione sta andando il rapporto importante ed essenziale con chi curo. In tempi di malattia, o di peste, l’uomo per scacciare i fantasmi può riflettere anche sul senso della malattia stessa. E in questa fase, molti medici, di fronte anche ai tanti caduti dei discepoli di Esculapio, sono costretti a ripensare il loro ruolo, soprattutto se all’improvviso diventano coloro che curano. Oggi assistiamo sgomenti al fatto che veniamo allo stesso tempo aggrediti dall’epidemia che dovremmo vincere. E questo crea anche sfiducia. ma non dobbiamo abbatterci! Insomma molti soldati morti sul campo e questo deve anche porre chi dovrebbe guarire gli altri, di fronte ad un modo nuovo, e forse antico, di approcciarsi ai morbi e alla salute degli uomini. Sta tutta qui la ragione della rilettura di questi libri in questi giorni che qualcuno ha definito un tempo sospeso.

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