“Ero seduto e stavo parlando quando all’improvviso mi appisolai. Ma non mi ero appisolato, ero un codice blu. Avevo un’emorragia interna, stavo affogando nel mio stesso sangue.

Tutto ciò che ricordo è che mi sono addormentato e ho fatto un sogno incredibile. C’era come un’atmosfera sospesa, l’aria aveva un gran buon profumo, e c’era della musica. C’è sempre musica nei miei sogni, ed è la musica a determinarne la natura. Se la musica è inquietante, è sicuramente un incubo. Ma quella musica era bellissima.

Il sole era appena svanito all’orizzonte, mi trovavo su un ponte e dall’altra parte c’era qualcuno. Una figura muta e immobile che mi fissava, ma il suo messaggio mi arrivò ugualmente forte e chiaro: non attraversare il ponte. Era tutto così bello, e io sarei voluto andare là per vedere chi fosse. Tutto ciò che riuscivo a distinguere era la sagoma di una persona con i capelli lunghi fino alle spalle. Sembrava mio fratello. Chissà, forse era soltanto qualcuno in piedi nella mia stanza. Ma c’era qualcuno lì, qualcuno che mi diceva che non dovevo attraversare il ponte. Non era ancora giunta la mia ora.”

Si apre con questa visione onirica e premonitrice l’autobiografia di Gregg Allman. Siano nel settembre del 2011, Allman è ricoverato per l‘ennesima volta in ospedale, ha dovuto affrontare diversi interventi chirurgici importanti, ma non si arrende. Vuole vivere, vuole ricominciare a suonare quanto prima, tornare sul palco, o land-of-no-pain come lo descrive lui in un’intervista. Il libro della sua vita corre velocemente indietro al 1995, al momento in cui la Allman Brothers Band viene inserita nella Rock and Roll Hall of Fame. Un traguardo importante ma anche uno spartiacque decisivo. Riguardando la registrazione dell’evento, Allman si rende conto d’un tratto di cosa avessero fatto di lui anni di alcol e dipendenze. Di come avesse vissuto a metà fino a quel momento, sempre poco presente alla vita reale, e di come l’alcol gli fosse penetrato profondamente nelle viscere e nella mente rubando nitidezza e profondità a ogni attimo vissuto. Allman decide così di disintossicarsi da tutto, di spogliarsi definitivamente di una delle sue croci più grandi e di rinascere. Ma prima di parlarci della sua vita nuova di uomo nuovo e di nuove prove di vita da affrontare, Allman azzera il contatore e comincia il racconto della sua vita dalla linea di partenza. Leggendo, ci accorgiamo che la sua è una vita straordinaria raccontata in modo del tutto personale, con un linguaggio semplice, spesso colorito, in cui traspare il sud dell’America, il rythm and blues, strade battute a cavallo di una moto, i chilometri macinati per portare in giro il più possibile la propria musica. La scrittura ci restituisce l’artista, non solo nella descrizione di fatti, eventi e aneddoti, ma anche nella sua visione della vita: un caleidoscopio di metafore, figure retoriche e immagini a tratti esilaranti a tratti commoventi, spesso intrise di una saggezza leggera. Ed è con leggerezza che vuole descrivere l’avventura, il viaggio musicale della band che ha fondato la scena musicale di Macon e che ha saputo assorbire tutta l’eredità della musica americana per creare qualcosa di completamente nuovo e inimitabile. Come dice Allman, molto è stato scritto della Allman Brothers Band, ma chi ha scritto non si chiama Allman e ha sempre indugiato sul lato più buio della sua storia, oscurando così tutto il resto. Allman sente la necessità di raccontare e di raccontarsi con leggerezza, ma mai con superficialità, malgrado la sua vita sia stata costellata di croci da portare o forse la croce è sempre stata soltanto una, che si è fatta via via più pesante a ogni stazione della sua vita. Nelle sue parole, nei suoi pensieri ci sono amore e fragilità, ma anche forza e determinazione. Allman ci regala aneddoti impagabili, legati soprattutto al fratello Duane, unica vera figura maschile di riferimento della sua vita, alla musica, unico vero amore incondizionato e trascendente, e alla genesi delle sue canzoni. Canzoni che a volte fanno capolino in sogno e che deve annotarsi prima che faccia mattina altrimenti rischia di perderle per sempre. Uno degli aneddoti più curiosi è legato proprio a un brano che porta il titolo Dreams,scritto insieme a It’s Not My Cross to Bear a Los Angeles seduto all’Hammond di Ed Sanford degli Heart. Un pezzo a cui si deve la formazione della stessa Allman Brothers Band e con il quale si chiude questo piccolo tributo all’autobiografia di Gregg Allman, nella speranza che un giorno chi scrive possa tradurla.

“Le parole di Dreams sono tutte vere. In quel periodo stavo su da Julia Brose, Julia era la segretaria di Dallas Smith. Era molto carina e viveva appena fuori Laurel Canyon. Lassù, su una collinetta c’era questa casina di legno, un vero e proprio rifugio romantico. Ovviamente lei stava già con un tipo, che poi ho scoperto era uno dei Doors – usciva con John Densmore, con cui poi si è sposata. Julia ha sposato un sacco di musicisti, non oso pensare a quante royalties percepisca. Quando stavo da lei, come mi svegliavo andavo alla finestra e guardavo giù per la montagna. Ogni volta che pioveva si formavano delle colate di fango. Deve essere stata quella l’immagine che si aprì davanti a me un giorno in cui ero seduto all’Hammond di Ed Sanford.

Di nuovo un’altra mattina in cui mi svegliavo con la tristezza nell’anima.

Mi buttavo giù dal letto, mi infilavo le scarpe.

Salivo sulla montagna per vedere cosa riuscissi a scorgere.

Il mondo cadeva a pezzi proprio davanti a me.

Ecco da dove proviene il testo di Dreams”.

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