Fine luglio 2019. Il viaggio in treno da Napoli a Metaponto, passato il confine tra Campania e Basilicata, diventa straniante, evocativo, ancestrale. Visto in corsa dal finestrino, il paesaggio lucano è un quadro metafisico, fatto di colori che si allargano come macchie e forme che appaiono senza suono e senza voce. Rocce, case rosse e brune, pale di fichi d’india, alberi da frutta, olivi secolari scavati dal vento, luce bianca che ferisce gli occhi, viadotti a precipizio, gallerie. Tutto parla di un tempo immobile, andato, perso: vecchie cabine elettriche, un ponte di ferro, arrugginito, un trattore abbandonato ai margini di un campo. Fuori dalla stazione di Potenza appare un cimitero di vecchie locomotive senza vetri e senza vita e un cane steso al sole. Più ci si addentra in Basilicata, più il paesaggio si fa duro e brullo: gole profondissime e crepacci si aprono improvvisamente sotto le ruote del treno in corsa su ponti fortissimi, opere straordinarie di una ingegneria ferroviaria ormai dimenticata. Non c’è nessuno nei campi, fa troppo caldo, solo rotoli di fieno e un gruppo di capre bianche e nere. È la terra del poeta Rocco Scotellaro ma potrebbe essere il set di Paris Texas e quando nel mio iPod parte il tema principale di Pat Garrett & Billy the Kid l’orizzonte, lo skyline come direbbero gli americani, sembra quello di un film western.

Il viaggio in treno finisce a Metaponto, luogo di fascinazioni greche, dove mi aspetta Pippo Bellone, patron della Lilit Books. Destinazione Montescaglioso, in collina, a pochi chilometri da Matera. Pippo Bellone ha gli occhi vispi e la parlantina sincopata. Viene da Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento, “Sammuca” come direbbe Camilleri, e tra i sassi lucani fa l’editore di professione. La sua casa editrice, un’etichetta indipendente, pubblica nuovi autori, gente che viene dalla periferia dell’impero, lontana dalla giostra inebriante delle major e della grande distribuzione. Ma fa di più. A Pippo è venuta un’idea stralunata, naif, da fumetto, romantica. S’è inventato il Paese dei Libri, un posto dove i libri sono balocchi per tutti, molliche di pane buone per trovare la strada di casa. Libri seminati per vie, vicoli e antichi palazzi, lasciati dentro vecchie cassette della frutta, sopra le scale di una chiesa, dentro al negozio del pizzicagnolo. Montescaglioso per tre giorni, a fine luglio, è una strana biblioteca a cielo aperto, una repubblica letteraria dove è stata abolita la parola prestito e quella denaro. Chiunque lo voglia, da quelle cassette in legno può prendere un libro e farlo suo, senza doverlo restituire né pagare. L’unica moneta richiesta, che non viene stampata ma circola come tutte le monete, gira nell’aria, entra nei polmoni e dai polmoni nel sangue e dal sangue arriva al cervello. Questa moneta si chiama amore per la lettura, per la letteratura, per la scrittura e per l’oggetto stesso chiamato libro, fatto di carta, copertina, bandelle, pagine legate e stampate in formati grandi, piccoli, bizzarri, colorati oppure ad un solo colore. A Montescaglioso i libri ci guardano, ci salutano, ci chiamano per nome; libri che cercano un’adozione, una famiglia, due mani che li stringano e due occhi che ci si posino sopra. A rendere possibile tutto questo è il lavoro di una anno, fatto di ricerca e raccolta di volumi negletti, dimenticati, abbandonati o che, più semplicemente, vengono messi a disposizione gratuitamente da editori illuminati che in quel piccolo gesto di generosità comprendono il grande valore promozionale che il Paese dei Libri, un’idea semplice e geniale, può avere. I tre giorni a Montescaglioso, infatti, sono impreziositi dalla presenza di editori che presentano i propri cataloghi, autori che parlano dei propri libri, e poi concerti, mostre e forme di contagio e contaminazione tra arti e letture. Un modello, il Paese dei Libri, che si sta espandendo in altre realtà, altri posti, altre persone, altri borghi e paesi. Oltre al nuovo appuntamento di fine luglio a Montescaglioso, quest’anno anche Termoli in Molise (fine giugno) ed Eboli in Campania (primi di settembre), ospiteranno la stessa manifestazione, un festival letterario dove ciascuno, passando davanti ad una cassetta in legno piena di libri, ne potrà prendere uno e cominciare a leggere, tenerselo in tasca, sul comodino, sulla scrivania, oppure metterlo davanti alla porta di casa, come usava un tempo con i sassolini bianchi per segnare i giorni felici.

Dal consumismo al comunismo letterario, il Paese dei Libri è questo. Un esperimento di socialità che poteva nascere solo dove la terra e brulla ma la civiltà è alta. Echi di Grecia accompagnano il mio viaggio di ritorno. Da queste parti gli ellenici misero i loro piedi, le loro anime e i loro cuori, e si sente in quelli che sono rimasti. La strada da Montescaglioso a Metaponto prima è fatta di molte curve, poi di un rettilineo che pare una pista di lancio verso un qualche posto nello spazio. In realtà sto solo tornando verso casa. Pippo mi saluta col palmo della mano aperta. “Ci vediamo presto”, dice. “Si, ci vediamo presto. Abbiamo molte cose da fare insieme”, gli rispondo. Il Paese dei Libri è ormai anche il mio paese, penso, mentre il terno attraversa di nuovo e a ritroso un pezzo della terra di Scotellaro. La Basilicata al ritorno è ancora più arsa di prima. Le mie erranze sensoriali sono amplificate da tre giorni interi in mezzo ai libri, un humus fecondo dal quale attingere idee, linfa, vita per altre narrazioni. Il terno corre sui binari, attraversa ponti e crepacci, gallerie e pianure fatte di case rosse e brune, il paesaggio ondeggia e la musica accresce la suggestione. Nel mio iPod le canzoni vanno avanti: Desperado degli Eagles, gli Amazing Blondel intonano Celestial Light e Dylan, che parla sempre col Padreterno alle spalle, dice che non è ancora buio: Not Dark Yet. La chiamano sequenza random, a casaccio, eppure io non ci credo. Le canzoni non arrivano mai a caso. Un filo dovrà pure esserci, un filo che tiene insieme le cose c’è sempre.

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