Forse a molti risulterà sconosciuto il nome di Robert Johnson, ma i musicisti e gli appassionati di musica sanno bene che il bluesman ha influenzato il Rock, il Folk e il R&R, uno dei più grandi uomini del XX secolo.

Songwriters e gruppi tra i più affermati sul pianeta, quali Bob Dylan, i Rolling Stones, Eric Clapton, gli Allman Brothers Band, i Blues Brothers (di cui ricordiamo una magnifica Sweet Home Chicago), Fleetwood Mac, Led Zeppelin, The Doors, Cream, John Mayall, si sono ispirati totalmente alle 8 e 12 battute del Blues di Robert Johnson, riproponendo in vari momenti della loro carriera qualcuno dei ventinove brani che egli ci ha lasciato.

Il Blues, da sempre, è considerato “la musica del diavolo”, forse perché ha una tematica malinconica o forse a causa della vita dissoluta, dedita all’alcool e alle droghe, dei suoi esponenti, ma, in realtà, ci sono altre leggende intorno a questo genere, che gli creano un’aura di mistero e intrigo.

Forse la storia più famosa, che ha assunto fama di leggenda, è la vicenda dell’incontro ravvicinato che l’artista ebbe, a un crocicchio, con il diavolo, narrata, fra l’altro, da lui stesso nel brano “Crossroad” e in altre canzoni del suo repertorio.

Facciamo un passo indietro!

Quando, tra il XVIe XIX sec. milioni di africani furono deportati dall’Africa come schiavi negli Stati Uniti d’America, questi si portarono appresso tutte loro credenze, i loro riti e divinità di riferimento, fra cui, principalmente, le entità demoniache Oristàs e gli Exù, spiriti extraterreni. Questi ultimi, rappresentati con una pala alla quale venivano appese conchiglie al posto degli occhi e della bocca, erano i più temuti e, a loro, bisognava chiedere di intercedere con altre divinità per ottenere favori che, altrimenti, non sarebbero mai stati concessi. In ogni casa c’era un altare dedicato a Exù, a cui venivano fatte offerte di galline, sigari e acquavite che, per avere effetto, dovevano essere poste in luoghi sacri quali i cimiteri o i crocicchi (infatti i crocicchi erano dedicati a Exù rey de las sieste encrucijadas, il “signore degli incroci”).

Fra i musicisti di blues vigeva la credenza che, se qualcuno si fosse recato a mezzanotte ad un crocicchio e si fosse seduto al centro di questo, sarebbe giunto un uomo vestito di nero e, dopo aver posto la mano sulla sua spalla, gli avrebbe chiesto di accordare la sua chitarra; da quel momento, il bluesman sarebbe diventato un grande chitarrista, naturalmente in cambio della propria anima.

In questo clima, tra magia e superstizione, nacque Robert Johnson ad Hazlehurst, Mississippi, l’8 maggio 1911. Come tutti i ragazzini neri, crebbe col mito della chitarra e aspirando a essere un bluesman, un ruolo privilegiato all’epoca, perché permetteva ai musicisti di suonare nei locali da ballo nelle fiere di paese durante i fine settimana, nella zona del Mississippi, e di rimediare, così, ospitalità per la notte, qualche soldo, donne e alcolici.

Da adolescente, Robert Johnson era solito recarsi in questi locali, dove suonavano bluesmen conosciuti in quel periodo, in special modo Son House, Willie Brown e Mississippi John Hurt; si accoccolava ai loro piedi e, durante i momenti di pausa, chiedeva loro di suonare qualche nota, ma la gente, ascoltandolo, se andava disgustata, tant’è vero che, dopo un po’, non gli permettevano più di esibirsi.

Scomparve, a questo punto, per un anno intero e, quando si ripresentò, alla prima occasione, al cospetto dei musicisti e chiese di poter fare qualche nota, questi, guardinghi e con estrema reticenza, glielo permisero, ma rimasero stupiti quando, sovvertendo ogni limite umano, il ragazzo imbracciò la chitarra e suonò una musica che non si era mai sentita prima, con una maestria sconosciuta anche ai più virtuosi.

Aveva maturato incredibili capacità fuori dal comune, con l’utilizzo dei bassi alternati col pollice (fingerpicking), cambi improvvisi di tono, strutture di otto e dodici battute, un suono nuovo ottenuto strusciando il collo di una bottiglia sulle corde (il primo rudimentale bottle neck), inventando la slide guitar. La voce, poi, raggiungeva ottave impossibili e il modo di cantare era quasi spiritato, come se l’interprete fosse posseduto da qualche entità ultraterrena, rimandando fortemente a sonorità e ritmi tipici del Canbomblé, una religione afro-brasiliana tuttora praticata in Africa e prevalentemente in Brasile.

Si disse che Robert avesse venduto l’anima al diavolo recandosi a un crocicchio di notte, e questa convinzione era rafforzata anche dai testi delle sue canzoni: in Crossroad Blues, infatti, egli dice “Sono andato al crocicchio, sono caduto in ginocchio e ho chiesto al Signore:” Ti prego abbi pieta’ e salva il povero Bob se puoi” e, ancora, in Me and the devil bluesStamattina presto hai bussato alla mia porta e ho detto: “ Ciao Satana, credo sia ora di andare. Io e il diavolo camminavamo fianco a fianco, picchiero’ la mia donna fino a che saro’ soddisfatto”. Altri cenni li troviamo in “Preachin’ Blues”, “If I had Possession over Judgement Day”, “Stones in my Passway” e “Hellhound on my Trail”.

La versione “ufficiale” vuole, invece, che Johnson, mentre vagava alla ricerca del suo vero padre (che non aveva mai conosciuto), Noah Webster, incontrasse un misterioso bluesman chiamato Zinnerman (di cui non c’è nessuna traccia storica, né spartiti né registrazioni) che poi sarebbe divenuto suo maestro (una sorta di Faust?).

La sinistra figura di Zinnerman risulta, comunque, celata da un fitto velo di mistero: l’unica certezza, nel completo oblio dei suoi dati biografici, riguarda la sua abitudine di suonare nei cimiteri tra le tombe e ciò lo fece additare come emissario del demonio.

Dopo una frenetica attività live, che come per tutti gli altri bluesmen all’epoca della Grande Depressione veniva esercitata per lo più agli angoli delle strade, morì a Greenwood, Mississippi, il 16 agosto 1938 (aveva appena firmato un contratto per suonare alla Carnagie Hall qualche mese dopo), a causa del veleno sciolto nella sua bottiglia di whisky da un marito geloso.

La sua agonia durò tre giorni interi, tra spasmi e urla sovrumane strazianti, inginocchiato per terra a quattro zampe, come un cane (come dicono le fonti ufficiali). Aveva solo ventisette anni e, cronologicamente, origina da lui la famosa espressione ‘club 27’ usata dalla stampa musicale, che identifica una lunga lista di rockstar morte appunto a questa età: Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse e tanti altri.

La tomba di Robert Johnson non è stata mai identificata perché ci sono, in tre luoghi diversi del Mississippi, tre pietre tombali che portano il suo nome, ma la Sony Music, tra queste, ha individuato e restaurato una lapide, posta sotto un enorme albero, del cimitero della Chiesa Missionaria Battista di Mount Zion a Morgan City (vicino a Greenwood).

Johnson ci ha lasciato ventinove brani, che aveva registrato, fra il 1936 e il 1938 in soli quattro giorni di sessioni a San Antonio Texas, per l’American Record Corporation, che pubblicò undici dischi a 78 giri sulla propria etichetta Vocalion durante la vita di Johnson, ed uno dopo la sua morte.

Di seguito l’elenco dei brani:

Kind Hearted Woman Blues, I Believe I’ll Dust My Broom, Sweet Home Chicago, Ramblin’ on My Mind, When You Got a Good Friend, Come On in My Kitchen, Terraplane Blues, Phonograph Blues, 32-20 Blues, They’re Red Hot, Dead Shrimp Blues, Cross Road Blues, Walkin’ Blues, Last Fair Deal Gone Down, Preachin’ Blues, If I Had Possession Over Judgement Day, Stones in My Passway, I’m a Steady Rollin’ Man, From Four Till Late, Hellhound on My Trail, Little Queen of Spades, Malted Milk, Drunken Hearted Man, Me and the Devil Blues, Stop Breakin’ Down Blues, Travelling Riverside Blues, Honeymoon Blues, Love in Vain, Milkcow’s Calf Blues.

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