Un passo dietro l’emergenza sanitaria, avanza quella dell’occupazione. Il congelamento infatti delle attività che il Governo ha cercato di garantire impedendo i licenziamenti e allargando la cassa integrazione a una platea di 9,3 milioni di persone funzionerà nel breve periodo ma non sarà in grado di evitare il fallimento di numerose imprese. I blocchi e le limitazioni degli scambi con l’estero provocherà una ripartenza molto lenta con la previsione che quando il Governo darà il via libera alla riapertura rientrerà non più del 50% della forza lavoro, con una ripresa che si potrà intravedere tra sette o otto mesi secondo i dati forniti da Confindustria.

Solo nel nord Italia a seguito della chiusura di Volkswagen si sono fermate molte aziende dell’indotto in particolare della Lombardia e del Veneto. Lavoratori a salario ridotto che in caso di ritardo della ripresa potrebbero determinare un calo consistente della domanda interna.

Dal 23 febbraio infatti solo in Lombardia le tute blu finite in cassa integrazione sono state centomila con un probabile raddoppio nel breve periodo.

In Veneto dopo soli due giorni di blocco, il 20% delle aziende artigiane, circa 20mila dipendenti, aveva richiesto la cassa integrazione in deroga con una perdita in un solo mese di circa 15/20 mila posti di lavoro.

Una percentuale che corrisponde a circa lo 0,7 o lo 0,8 dell’occupazione dipendente nelle tre regioni che fanno da traino in Italia: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

Tutto dipenderà naturalmente da quanto durerà il lock-down.

Purtroppo in una situazione come quella che stiamo vivendo nulla può essere fatto per i lavoratori più fragili come quelli a tempo determinato.

Una platea di circa 3 milioni di persone tutti con contratti a tempo determinato, la maggior parte dei quali viene firmato ad inizio d’anno o dopo l’estate. Già quelli a scadenza tra maggio e giugno, causa la crisi in corso, non verranno rinnovati.

Secondo l’Istat e le associazioni di categoria con i primi decreti i lavoratori impiegati nelle imprese chiuse e quindi fermati sono stati 1,1 milione.

A questi vanno aggiunti i lavoratori in somministrazione, una platea di circa 400 mila unità, utilizzati nel settore alimentazione, informatico, pulizie, sanità.

Basti un dato: nella prima settimana di marzo le mancate conferme, in questo ambito, sono state il 5%, nella terza il 30% del totale.

I dati Istat ci dicono inoltre che a questi numeri vanno aggiunti i 2,2 milioni che lavorano nei settori fermati per decreto.

Nel settore alberghi e ristorazione le persone fermate sono ad oggi 1,2 milioni.

Mentre nel commercio la serrata ha lasciato a casa 1,4 milioni di lavoratori.

Del mondo degli autonomi fanno parte anche un gran numero di precari, circa 100 mila, costretti ad aprire una posizione per far risparmiare al datore i contributi.

I lavoratori dello spettacolo appunto, costretti ad aprire la partita iva perché così si risparmia sui contributi e che ora con i teatri chiusi, gli spettacoli dal vivo cancellati, le tournee rimandate a data da destinarsi si trovano privi di ammortizzatori sociali, cosi come la gran parte dei circa 4 milioni di addetti nel turismo e nella ristorazione, entrambi serbatoi di lavoro precario e stagionale.

Una precarietà quest’ultima che nessuna riforma del mercato del lavoro ha mai affrontato.

Una platea quella delle false partite iva, ammontante a circa due milioni di lavoratori, che non figurano iscritte a nessuna cassa di previdenza, non tutte giovani, senza la possibilità reale di poter chiedere un mutuo e senza la speranza di una pensione futura, giustificati con il solito refrain: meglio precari, sfruttati e con partita iva che disoccupati.

Una situazione che una volta passata la buriana bisognerà necessariamente affrontare, tornando a parlare non solo di salario minimo ma di garanzie, tutele e trasparenza.

Realtà nazionale che si estende alla stessa maniera anche da noi in Molise aggravando una situazione già di per se molto seria.

A causa del clima inclemente e del discutibile funzionamento degli impianti di innevamento solo a Campitello Matese, con la chiusura degli alberghi, a fine gennaio si erano persi 500 posti di lavoro.

Dal 2008, anno della prima crisi nel settore edilizia, cemento, legno, laterizi e lapidei si sono persi circa settemila posti di lavoro e si sono chiuse 1500 imprese.

Una condizione già grave che a causa della pandemia in corso vedrà aumentare di circa tremila unità secondo i sindacati il numero dei posti di lavoro persi.

Una perdita quella occupazionale quasi parallela al decremento demografico.

Secondo il rapporto dell’ufficio studi di Confcommercio nel decennio 2008-2018 la popolazione molisana è passata da 317 mila a 307 mila abitanti e gli occupati da 113 mila a 107 mila, con un tasso di disoccupazione salito dal 9,1 al 13% e con una disoccupazione giovanile, quella relativa alla fascia di età 14-25 anni, passata dal 28,8 al 40,3% nel 2018.

Nello stesso periodo si sono perse infine in regione 95 imprese agricole, 88 industrie e 179 negozi.

In questo quadro, oggettivamente poco confortante e con le misure adottate e quelle che verranno approvate nelle prossime settimane, per l’Italia, lo scenario accreditato da diversi istituti di ricerca parla di un rapporto tra debito pubblico e Pil tra il 140 e il 160%.

Un problema che potrà essere affrontato in un unico modo: eurobond o altra misura similare sola in grado di rimettere in moto l’Europa e evitare così il collasso delle economie dell’Europa meridionale e con esse della intera Unione europea.

L’Italia e altri otto paesi chiedono infatti il varo di uno strumento finanziario europeo che non avrebbe l’obiettivo di comunitarizzare i debiti pregressi ma solo di affrontare insieme le maggiori spese necessarie per far fronte alla recessione.

Le prossime settimane ci diranno se il muro delle nazioni del nord è stato infranto facendo intendere in primis a Germania ed Olanda che questa volta l’Euro e l’Unione europea, in caso di mancato accordo, rischiano sul serio.

Nel concludere queste riflessioni su capitalismo, pandemia da coronavirus, emergenza sanitarie ed occupazionale due altre considerazioni riteniamo di articolare.

La prima. Rilevato che le Regioni, come ha affermato saggiamente Sabino Cassese fanno troppe cose e male, appena dopo che questa crisi sarà terminata, il Servizio Sanitario dovrà divenire finalmente nazionale, magari inserendo nella Costituzione una clausola di supremazia dello Stato sulle Regioni, con l’effetto di ridurre il potere degli enti regionali ed assegnando al Governo poteri di intervento effettivo in materia sanitaria.

Solo così il servizio sanitario potrà avere una organizzazione e un funzionamento uniforme su tutto il territorio.

In secondo luogo anche noi di Quarta Dimensione aderiamo alla petizione: Riapriamo le librerie!

“Siamo consapevoli della gravità del momento e accettiamo la severa disciplina di isolamento sociale imposta. Questa condizione di lunga cattività domestica avrà bisogno di conforto culturale e spirituale per essere sostenuta senza crepe e scoraggiamento.

Chiediamo perciò alle autorità competenti, consapevoli dello sgomento in cui viviamo, di riaprire le librerie per sostenerci in questa innaturale forma di esilio fra le proprie mura.

Sono giorni che con grande responsabilità gli italiani si mettono in coda, con maschere e guanti, davanti ai supermercati e alle farmacie. Non si vede perché i consumatori di libri sarebbero meno disciplinati dei consumatori di cibo o medicinali.

Le nostre librerie, grandi o piccole che siano, sono facilmente gestibili da ogni punto di vista, abituate a frequentatori lenti e assorti, che hanno bisogno di scegliere ciascuno per proprio conto, curiosi delle novità e dell’assortimento…

…Chiediamo al Governo questo gesto di fiducia nello spirito degli italiani, da cui dipende ogni loro migliore comportamento.

Le librerie aperte non creerebbero le file del supermercato, e darebbero ossigeno all’editoria libraria, su cui si regge gran parte della formazione culturale e della circolazione delle idee nel nostro paese.

Dateci pane per i nostri denti spirituali. Non di sola tachipirina vive l’uomo.”

Questo appello, che noi rilanciamo, è apparso sulle pagine del Il Manifesto del 2 aprile u.s. ed è stato già sottoscritto da centinaia di cittadini, intellettuali, scrittori e non.

L’elenco completo delle firme è rinvenibile sul sito www.osservatoriodelsud.it.Per firmare osservatoriodelsud@gmail.com Aderiamo numerosi per resistere, fortificare, vincere. Noi nel mentre continueremo a raccontare l’Italia e le sue realtà regionali, anche dopo che l’uscita dalla più grave crisi sanitaria ed economica dal dopoguerra avrà definitivamente cambiato la vita di tutti noi.

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