Un  Papa che guarda il cielo e sa farlo guardare agli altri, radicato tuttavia alla terra e alla Storia, residenze della vita umana.

“Cari figlioli sento le nostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Qui di fatto tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera – osservatela in alto- a guardare questo spettacolo”. Lo spettacolo è una folla oceanica che è raccolta a piazza San Pietro, una folla che si zittisce alle parole del Papa e guarda in cielo, verso la luna, per poi  all’unisono far risuonare uno scrosciante e emozionato applauso, suono esterno del ritmo interiore del cuore.

Il Cocilio Vaticano II, inaugurato l’11 ottobre 1962, Papa Giovanni XXIII, come è noto, non lo riuscì a chiudere – morì prima della fine dei lavori- ma sostanzialmente esso seguì l’indirizzo da lui impresso, lui   sostanzialmente un tradizionalista ma  attento ai fenomeni sociali, economici, politici e culturali del mondo, tanto da essere capace di governare l’innovazione.

Come ha sostenuto l’arcivescovo Loris Capovilla, Papa Giovanni XXIII è stato “un conservatore che guarda avanti”.

La messa non più in latino ma nelle lingue nazionali; la centralità della  carità e della tenerezza come coordinate cui riferirsi; il papa “servo dei servi di Dio”, non diplomatico ma pastore che con il suo irenismo punta alla verità,  pronto a esporsi e a esporre la Chiesa al rischio di essere oggetti di deformazioni artatamente volute da altri o da altri intentate più o meno inconsapevolmente; mettere al primo punto la volontà di pace e la conciliazione.

Un pontefice che ha esortato alla comprensione dell’altro e i credenti stessi alla tolleranza: “ non pronunciate mai la parola crociata davanti a me! Vengo da Costantinopoli e so che il solo ricordo delle crociate basta  a dividere”.

Un Papa che ha invitato alla necessità di essere attenti alle dinamiche storiche e alla politica, insomma un papa che “ha condannato” l’indifferentismo, spronando alla partecipazione attiva alla vita politica.  Si legge testualmente in una parte della enciclica “Pacem in terris” che i cristiani non devono temere di collaborare con i non credenti  “ guidati dalla ragione e dall’onestà intellettuale” dato che “gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, tra credenti e quanti non credono o credono in modo non adeguato possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio”.

E in questi brevi passaggi, alcuni tratti di Papa Roncalli sono individuabili nell’attuale Papa. Anche Francesco è un tradizionalista e, al contempo, intrinsecamente legato alla carità e alla tenerezza, che percorrono di luce non a caso la sua enciclica Lumen fidei nel rispetto e nel rigore delle virtù teologali e della tradizione; il voler essere innanzitutto pastore prima che diplomatico o , meglio dire, essere fine diplomatico in virtù dell’essere genuino pastore, sapendo guardare tutt’intorno e avanti è un tratto rintracciabile anche in Francesco, ne è esempio il tema ambientale che percorre l’enciclica Laudato si e in cui si coglie anche una denuncia delle deformazioni del capitalismo: “eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente”. Evitare l’indifferenza e richiamare all’attenzione e alla azione è pure di Francesco che invita a:  “prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può offrire”; azioni da condividere al di là dei credi ideologici, nel segno della tolleranza: “tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità”.

Si, il ritratto del primo rimanda al secondo, quello del secondo al primo, pur nella originalità  delle loro singole personalità, nella differenza delle loro individuali esperienze, nella specificità dei loro rispettivi approcci, nella distanza dei tempi che vivono, distanza siderale degli scenari  geopolitici: Roncalli papa nella guerra fredda, in quella fase critica  in cui il mondo stava in bilico sul precipizio di una guerra nucleare con la crisi di Cuba, Francesco papa nell’era della globalizzazione e che ha parlato al mondo durante l’emergenza cov 19 su una piazza vuota: “…il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. […] le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.

È così che anche lui, come Giovanni XXIII,   ha fatto guardare agli “spettatori” il cielo, con gli occhi rivolti  alla luna, nel mentre applausi solitari, chiusi nelle case,  esternavano il ritmo interiore dei cuori.

Papi che guardano il cielo e sanno farlo guardare agli altri, ben radicati tuttavia alla terra e alla Storia,  residenze della vita umana.

Stampa questo articolo Stampa questo articolo