Il 17 Luglio 2012 la rassegna  “Roma incontra il mondo” ha ospitato nella suggestiva location di Villa Ada due grandi leggende della musica contemporanea: il bassista/contrabassista Stanley Clarke ed il batterista Stewart Copeland, ex locomotiva dei ritmi Police.

La leggenda infatti narra che fu Sting a definirlo così; la prima volta che lo vide suonare ebbe l’impressione che lo stesse investendo un treno!

La performance  si è subito distinta per il suo carattere sperimentale e inconsueto che ha dato vita ad una continua improvvisazione, grazie alla bravura e  all’individualità dei singoli musicisti e alla grande intesa, offrendo così un’equilibrata alternanza di assoli e accompagnamenti. Soprattutto Clarke  ha dispensato  una serie di assoli musicali perfettamente nel suo stile alternando accordi, arpeggi e pennate percussive a note di armonici e riempiendo la scena con la sua grande personalità. In particolare, momenti  più emozionanti ed interessanti dal punto di vista tecnico è stato quando Clarke, mano al contrabbasso, ha offerto sprazzi in groove di stile funky e sonorità jazz regalando al pubblico una grande lezione del suo personalissimo stile.

Lo spessore musicale dei due ha regalato forti emozioni essendo artisti di qualità indiscussa. Clarke ha una luminosa carriera alle spalle nel mondo della fusion (con i Return To Forever del pianista Chick Corea) e del jazz più in generale. Copeland costruisce la sua fama come batterista di uno dei gruppi rock di maggior successo degli ultimi quarant’anni, i Police. Allo scioglimento di questi, ha portato avanti numerosi progetti e collaborazioni nei generi musicali più disparati.

Entrambi virtuosi ai rispettivi strumenti. Due veri fuoriclasse del ritmo.

I due non formano una coppia inedita. Hanno già suonato insieme e prodotto due album come “Animal Logic” tra il 1987 e il 1991, insieme alla cantante Deborah Holland. Poi, negli anni successivi, collaborano ancora per qualche jam session, prima di prendere la decisione di partire insieme in tour.

Il live dura circa novanta minuti. I musicisti si intendono bene, non si pestano i piedi ma alternano sapientemente gli assoli. Clarke è scatenato, chiude gli occhi in una smorfia di compiacimento e passa da una parte all’altra del palco dando l’idea di voler condurre il gioco tra le parti. Ricerca la fusione del suono quasi a livello fisico, entrando col manico del basso tra i piatti di Copeland. Un cappellino rosso da baseball in testa al posto della chioma afro degli esordi. Per il resto sembra un ragazzino: urla verso il pubblico e verso i compagni, invita a battere le mani per tenere il tempo, si agita sulle corde, si muove e si mette in posa per i flash. Al contrabbasso poi si supera e le percussioni restano comunque territorio di un magistrale Copeland. I due sono bravi anche nel lasciare libertà di espressione a Brady Cohan (tastiere) e Ruslan Sirota (chitarra) che, dotati entrambi di ottima tecnica, che riescono a integrarsi perfettamente nel meccanismo. Ciò perché Copeland e Clarke non sono semplicemente una base ritmica, ma insieme costituiscono una piattaforma di lancio. Quando alzano il ritmo, creano un solido piedistallo che permette ai due giovani di mettere in luce le rispettive qualità.

Il sound proposto è piuttosto lontano da quello degli Animal Logic. Vi si trova invece la contaminazione della fusion, l’estro e la libertà del progressive, il tutto con l’aggiunta di qualche riff hard rock di chitarra che esalta ulteriormente il pubblico.

E io, ancora una volta, macchina fotografica al collo, a pochi metri da un’altra leggenda.

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